Visualizzazione post con etichetta politica. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta politica. Mostra tutti i post

mercoledì 6 giugno 2007

L'Eta annuncia la fine del cessate il fuoco

Con un comunicato al quotidiano Berria, l’Eta ha annunciato la fine del cessate il fuoco proclamato nel marzo 2006. Una rottura anticipata all’indomani delle bombe di fine anno dell’aeroporto di Barajas ma non ancora ufficializzata.

Un passaggio che arriva non a caso ora, perché, malgrado l’attentato e la contrarietà del Partido Popular al processo di dialogo, sottotraccia continuavano i passi per ripristinare il processo e restavano valide le condizioni che avevano determinato tante aspettative: la stanchezza dei baschi verso la violenza e l’erosione del consenso sociale dell’Eta, il diverso approccio alle questioni nazionali spagnole che il cambio di governo a Madrid portava con sé.

Condizioni che hanno fatto agio anche sulla grande debolezza di questo tentativo: la divisione tra i partiti democratici, con la contrarietà del Pp a appoggiare la politica antiterrorista del governo, utilizzata anzi nello scontro politico quotidiano. Il governo ha portato avanti il tentativo convinto che i popolari si sarebbero, prima o poi, incorporati in esso. Cosa che non è avvenuta.

La rottura non giunge ora per caso. Le elezioni amministrative del 27 maggio avevano rafforzato le posizioni favorevoli al dialogo, in particolare all’interno della sinistra abertzale (la sinistra indipendentista) e avevano anche penalizzato il Pp che, esclusa Madrid, retrocedeva ovunque.
Particolarmente significativa, perché strettamente legata alla scelta di opposizione al tentativo di fine dialogata della violenza, era la perdita di voti e seggi nel Paese basco e in Navarra.

Proprio in Navarra il successo elettorale di Nafarroa Bai (NaBai) ha scosso l’estrema sinistra nazionalista, nella quale Batsuna non è stata in grado di svincolarsi dall’Eta ripudiando la violenza per la risoluzione dei conflitti politici (condizioni necessarie perché il partito venisse legalizzato nuovamente). I settori baschi vicini a Batasuna hanno potuto contare sulle liste dell’Associación nacionalista vasca, storica formazione resuscitata alla bisogna, in buona parte impugnate dal governo quando vi erano candidature direttamente connesse a Batasuna. Ma NaBai ha fatto quel passo che Batasuna non ha compiuto, vincolando la formazione di maggioranze locali con Anv all’esplicita condanna della violenza, compiendo così un importante sommovimento nel campo abertzale. Il rafforzarsi del fronte favorevole a una svolta ha probabilmente convinto l’Eta a riprendere la scena, tentando di dominarne l’agenda.

Cosa aspettarsi adesso? Intanto la Spagna teme che già da oggi torni a scorrere il sangue. Zapatero ha chiesto l’appoggio di tutti i partiti ma il leader del Pp, Mariano Rajoy, lo ha subordinato al cambiamento della politica antiterrorista del governo.
Nel Paese basco e in Navarra continuerà il laboratorio politico per determinare condizioni per un ripristino del dialogo. Aspettando le politiche del prossimo marzo e sperando che il settore dell’Eta contrario al dialogo, che ora ha il sopravvento, non insanguini le strade di Spagna.

lunedì 28 maggio 2007

Sartorius parla delle amministrative spagnole

Le elezioni amministrative, che hanno coinvolto 35 milioni di spagnoli, non puniscono la sinistra né la destra: i popolari compiono il sorpasso in numero di voti assoluti (circa 160 mila in più) e i socialisti conquistano amministrazioni.
Anche il governo può essere soddisfatto, perché se gli elettori avessero accettato il tentativo del Pp di convertire le elezioni in un referendum sulla politica terrorista dell’esecutivo, questa sarebbe stata sostanzialmente approvata.
Un voto vissuto dai partiti come un test delle prossime politiche ma utilizzato dai 35 milioni di elettori per esprimersi sui contesti locali nei quali è maturato.

Ne parliamo con Nicolás Sartorius, vice presidente esecutivo della Fondación Alternativas, conoscitore della politica (e dei dati elettorali). Figura storica della sinistra e del sindacalismo spagnoli, non per questo meno autorevole e illuminante. Questo testo è una versione estesa dell'intervista pubblicata su
Europa.

«Si possono fare varie riflessioni. È aumentata l’astensione di circa tre punti, il che denota una stanchezza di un settore dell’elettorato, soprattutto catalogna e Andalusia. Il Pp ha vinto in voti assoluti, ne ha ottenuti 160 mila in più. Il Psoe aumenta in quanto a eletti, al numero di capoluoghi che governerà e di Comunità autonome. Il Pp perde 14 capoluoghi e ne vince due, perde la maggioranza assoluta in tre territori molto importanti, Navarra, Isole Baleari e Canarie, dove il Psoe potrebbe governare in coalizione con altre forze. Il Psoe ha tutta le città di Galizia e Catalogna, ne conquista nel País vasco e in Navarra, in zone molto “sensibili” dove il Pp arretra. Mentre a Madrid ha avuto un successo molto importante, come a Valencia, territori che già controllava. La mia opinione è che, dal punto di vista del potere territoriale, il risultato è buono per il Psoe e il Pp si consola col numero dei voti assoluti».

Il voto può essere considerato un test per le politiche?
Il PP ne ha voluto fare un test nazionale ma in realtà la gente ha votato pensando al territorio. Approfondendo il dato si osserva, si vede studiando i dati elettorali che è molto varaiato perché il voto è locale e non hanno tenuto in conto il dibattito generale.

I partiti si sono scontrati anche sulla politica antiterrorista, non solo perché si votava nel País vasco, con quali risultati?

Bisogna dire che da questo punto di vista nessuno dei due ha ottenuto quello che voleva. Il PP non ha avuto un chiaro voto di castigo per Psoe, che se non fosse stato per Madrid, è avanti ovunque.

Il voto in Navarra come riflette l’acceso dibattito nazionale sulle politiche anti terroriste.

Lo riflette nel senso che i navarresi non hanno creduto alla propaganda della destra, che se non si votava a destra la Navarra sarebbe diventata parte del País vasco e avrebbe perduto la sua identità. E hanno castigato il Pp navarrese, l’Upn, per la prima volta il Pp perde la maggioranza assoluta e la cosa più probabile è che non governerà. In Galizia, Extremadura, Catalogna il potere del Psoe è aumentato malgrado la politica antiterrorista di Zapatero fosse stata dipinta come una catastrofe per il Paese. La gente non lo ha creduto.

Come leggere l’astensione?
È stata molto differenziata, a seconda dei territori. In Navarra c’è stata una enorme partecipazione [73%, due punti in più del 2003 - NdR], l’astensione c’è stata soprattutto in Andalusia e Catalogna: i tre punti in più vengono soprattutto da lì. Può avere molte cause. C’è n’è una tecnica, che si produce sempre, ed è attorno al 30%. Nelle elezioni municipali, come in questo caso, ci possono essere motivazioni locali, può essere un prodotto della corruzione politica o di dinamiche proprie delle politiche locali. Poi può esserci un’astensione prodotta dalla crispación, ossia lo scontro sistematico fra i partiti, che porta all’astensione una parte degli elettori che non considera produttive le liti tra i partiti. Per quanto riguarda la Catalogna, credo che sia dovuto al processo statutario, nel quale l’atteggiamento dei partiti non è stato edificante, che ha stancato un settore dell’elettorato catalano che si è astenuto. E stanchezza elettorale, vengono da quattro consultazioni di seguito, e in più non c’erano autonomiche. L’astensione è stata alta dove non c’era il traino delle autonomiche e ha colpito entrambi i partiti.

Torniamo alla “valanga popolare” di Madrid...
Credo che il Partito socialista ha fatto errori importanti. Da molto tempo la federazione socialista madrilena ha continue lotte interne, nel partito ci sono battaglie che vanno avanti da molti anni. Poi, i candidati non erano dei migliori rispetto a un obiettivo come Madrid, e non si è presentato un progetto che potesse attrarre molti settori della sinistra. È un insieme di fattori: non hai un buon candidato, non hai un progetto e il partito che c’è dietro non è forte: il fallimento è assicurato.

Le elezioni politiche si tengono a marzo, come ci si arriverà, alla luce di questi risultati?
Credo che il Pp continuerà la stessa politica di scontro e di opposizione dura al governo, anche se è probabile che il leader, Mariano Rajoy, adotti atteggiamenti verbalmente più moderati.
Il governo tenterà di utilizzare questi mesi per accentuare le politiche sociali e dei diritti. Soprattutto, utilizzare la prossima finanziaria per fare una politica avanzata in materia. Punterà sugli aspetti economico sociali, che vanno bene, e tenterà di recuperare quei settori che si sono astenuti questa volta. È probabile che alle politiche l’astensione sarà molto minore, non credo che il governo debba essere particolarmente preoccupato.
Il Psoe deve prendere misure, anche energiche in casi come Madrid, ma il governo affronta le generali con posizioni molto più solide sul piano municipale e autonomico. E per vincere le politiche è molto importante avere un buon potere municipale e autonomico.

domenica 6 maggio 2007

Reazioni in Spagna all'intervista di Maragall

L’intervista a Pascual Maragall (vedi il post sottostante) pubblicata da Europa il 25 aprile, e della quale significativi stralci sono stati presentati lo stesso giorno da El País, non è passata sotto silenzio in Spagna, scatenando anzi roventi polemiche.
Maragall aveva detto che «visto col senno di poi, lo sforzo per riformare lo Statuto catalano», le norme che regolano prerogative e competenze dell’Autonomia e del governo centrale, «non è valso la pena». Anzi, «è stato un errore». Dichiarazione esplosiva, visto che Maragall è stato il primo promotore della riforma, che ha suscitato aspre polemiche nazionali.
Numerose dichiarazioni da parte di politici e decine di articoli, commenti e editoriali hanno tenuto per circa due settimane la vicenda sotto i riflettori. Poi blog e giornali telematici. In tutto sono centinaia le pagine relative alle dichiarazioni di Maragall. Qui ne linkiamo una piccola parte. Un po' per permettere a chi è interessato di seguirne (in spagnolo) i passaggi. Un po' per sodddisfazione.


Cominciamo dalla pagina de El País che ha riferito alcuni passaggi dell'intervista e dalla quale è nata la polemica spagnola.

Naturalmente è intervenuto il successore di Maragall alla guida della Generalitat, José Montilla, durante la Sessione di controllo del governo catalano tenutasi il quattro maggio nel Parlament, affermando che «rispetta molto ma condivide poco» il pensiero di Maragall. Parole che arrivano dopo dieci giorni di polemiche, iniziate quando El País ha riferito, in contemporanea con l’Italia, il contenuto dell’intervista di Europa.

Eduardo Zapalana, portavoce parlamentare del Pp, da Berlino, dove si incontrava col suo omologo della Cdu, Volker Kauder, ha ironicamente detto che «è bello vedere che alla fine ti danno ragione». Mentre il segretario del partito, Mariano Rajoy, ha sottolineato «il coraggio e l’onorabilità di Maragall», anche se «la confessione tardiva oramai non serve a nulla».

Sconcerto e prudenza nelle fila socialiste e fra gli alleati. Carod Rovira, di Esquerra republicana (Erc), il partito catalanista di sinistra, ha ricordato che Erc è uscita dalla maggioranza per quello che ora afferma Maragall, cioè la moderatezza del nuovo Statuto. Mentre per il presidente dei rossoverdi di IC-V, Carlos Saura, il testo «rappresenta il maggior grado di autonomia mai ottenuto dalla Catalogna».
Una carrellata delle reazioni a caldo dei partiti catalani la trovate qui.

Maragall ha poi affermato in un’altra intervista di essersi «sentito tradito da Zapatero», che non è stato conseguente alle sue idee federaliste. È toccato alla vice presidente, María Teresa Fernández de la Vega, intervenire per dire che «secondo l’esecutivo la Comunità catalana ha un grande Statuto, buono per i catalani e per la Spagna».

Giornali e opinionisti, con decine di articoli e editoriali, hanno cercato il motivo dell’ offensiva di Maragall, da alcuni giudicata inopportuna. Secondo alcuni, al leader catalano il Psoe ormai sta stretto e l’appoggio incondizionato dato all’esperienza italiana del Partito democratico potrebbe essere una chiave di lettura: la Spagna «federale-differenziale» ricercata da Maragall potrebbe arrivare dalla formazione di un nuovo Partito democratico che sovverta il confronto tra partiti nazionali e nazionalisti. Per altri, anche in Spagna sarebbero maturi i tempi per mischiare le carte delle appartenenze ideologiche novecentesche e creare nuovi soggetti politici. E Maragall dovrebbe essere ascoltato.

A quasi tre settimane dall'intervista, l'ultimo intervento è ancora di José Montilla, che si dice convinto che, col tempo, Maragall rettificherà la sua posizione sull'Estatut.

sabato 5 maggio 2007

L'Estatut? Non è valsa la pena

Questa intervista, pubblicata in esclusiva dal quotidiano Europa il 25 aprile, viene qui presentata in una versione estesa.
I temi sono quelli della costituzione del Partito democratico in Italia, della necessità che Spagna e Italia formino un asse affinché l'Europa guardi più al Mediterraneo e la situazione catalana. Con sorprendenti riflessioni sullo Statuto catalano che hanno scatenato enormi polemiche in Spagna (qui un post che ne raccoglie le principali).


Pascual Maragall, presidente del Partito socialista catalano (Psc), è un autorevole ospite del Congresso della Margherita. È stato il sindaco del rinnovamento di Barcellona, dall’83 al ‘97, e presidente del governo catalano dal 2003 al giugno scorso. Conosce bene l’Italia, dove ha insegnato nel ’97/’98 e segue con interesse la costituzione del Pd, che vede come il primo partito europeo della storia.

Il Pd italiano

Visto dalla Spagna, e quindi dall’Europa, come si vede il processo di costruzione del Pd?
Credo che in Spagna c’è ancora un effetto sorpresa. È un progetto che incomincia a delinearsi e io credo che sia un progetto di rottura, di profonda innovazione, perché stabilisce una nuova dimensione: un partito politico europeo. E in più un partito democratico, cioè che vuole essere a largo spettro, non un partito ideologico tradizionale. In questo senso si deve ancora vedere l’impatto che questo avrà in Europa e particolarmente in Spagna ma in ogni caso sarà importante. È un’innovazione che è pensata nella dimensione corretta: la realtà di oggi di questa nuova nazione che si chiama Europa.

Un processo che offre spunti anche fuori dall’Italia, quindi?

Le due novità di questo partito sono la dimensione ideologica molto ampia ma anche la dimensione geografica. L’interesse che ha per noi è la possibilità della costruzione di un autentico partito europeo. Di sinistra, progressista, liberal-progressista, lo si chiami come si vuole, ma che rompe con la tradizionale derivazione ideologica molto marcata. Io credo che in Spagna il Psoe, col Psc e il Pse [il Partito socialista basco – NdR], devono prendere appunti su questa nuova realtà e vederla come un’opportunità e non come un pericolo o un competitore. Il Partito democratico europeo non è un competitore del Partito socialista europeo ma è un’offerta, un invito a ampliare orizzonti ideologici e geografici.

Ci sono posizioni differenti riguardo all’appartenenza al Gruppo socialista europeo. Per lei si pone il problema di un suo superamento?

Io capisco che il proposito di combinare storie diverse nel Pd in Italia sia già complesso e che sei poi in Europa si fa parte del Pse è ancora più difficile. Se si guarda agli Usa, nei Democratici c’è Obama, Ilary Clinton, esponenti del sud che sono molto conservatori. Il fatto è che a larghi spazi ideologici deve corrispondere una larga varietà di matrici. Credo che ci si stia abituando a questo: un partito non è una chiesa e non deve esserlo, è uno spazio nel quale si sta, più o meno comodamente, più o meno minoritariamente, naturalmente, ma io credo che questa è un’idea che si imporrà anche in Europa: un Partito popolare europeo e un Partito democratico europeo. Perché quello che è decisivo è la dimensione, è l’Europa, è lo spazio. Una realtà che, a differenza degli Usa, ha molte lingue, ha avuto molte guerre interne, ha molte diversità e, nonostante questo, sta creando un nuovo spazio di dimensioni adeguate. Perché nel mondo le economia di scala contano anche in politica, non puoi competere se non hai la dimensione adeguata: l’Europa lo ha visto, voi italiani lo avete visto. Credo che questa è la strada che porta a due grandi partiti europei. Con molte difficoltà, certo. Mussi che va, qualcuno che viene, i tedeschi che non lo capiscono, i britannici che sono scettici.

Da vecchio socialista cosa direbbe a coloro in Italia che non vogliono perdere la loro appartenenza di sinistra?
Quello che dobbiamo tutti capire è che c’è una tendenza: nella misura in cui il mondo si va globalizzando, lo scenario si amplia e gli attori sono di più, hanno più spazio. È quello che voi italiani avete visto. Altri non ancora.

Lo Statuto? Un errore.

Parliamo un po’ della Catalogna. Un governo di sinistra dopo 23 anni e il nuovo Statuto.
La sinistra di fatto già vinse le elezioni nel ’99. Quando tornai da Roma e ci presentammo vinse in voti non in seggi, perché il governo non aveva presentato la legge elettorale e si calcolava il numero dei seggi ancora in virtù di una disposizione transitoria del 1979 molto favorevole alla destra.
Nello statuto del ’79 era proporzionale ma la legge non si compì, si favorirono le circoscrizioni agrarie meno popolate dove la destra nazionalista aveva più voti. Questo ritardò il cambio in Catalogna. Io credo che commettemmo un errore: progettare la riforma dello Statuto anziché luna riforma della Costituzione. La riforma della Costituzione è impossibile? Sì, probabilmente, ma anche quella dello Statuto è stata impossibile, non è approvato, c’è, è vigente ma in forma provvisoria, c’è un ricorso al Tribunale costituzionale. Visto col senno di poi, valeva la pena tanto sfrozo? 287 articoli, specificare le competenze della Catalogna, una per una, in ogni campo, l’economia, la giustizia... No, io credo ora che non è valsa le pena. Perché è uno Statuto che ancora non è del tutto stabile, è approvato in Catalogna, è approvato dal parlamento spagnolo, è approvato nel senato, con molte modifiche, ma anche così c’è un ricorso e passeranno ancora anni... Di modo che forse sarebbe stato meglio concentrarsi nel cambiamento dell’articolo 2 della Costituzione - la Costituzione spagnola è previa alla creazione delle autonomie - dove si crea la figura delle autonomie. Ma non ognuna, pertanto le 17 comunità autonome spagnole non sono raccolte nella Costituzione, il loro nome, i loro limiti, se vuoi. Quello che si dovrebbe fare è un cambiamento, aggiungere nell’articolo due un passo che nomini le 17 autonomie e dica che tre di esse sono nazionalità storiche: Catalunia, Euskadi e Galizia.

Perché il livello delle competenze è già alto.
Questo è già compiuto, per questo forse non c’era bisogno di tante discussioni.

Questa è la proposta di uno stato federale?
Sì. Federale differenziale.
Quando io stavo a Roma mi chiamò González e mi voleva convincere, cenando a Santa Maria in Trastevere, che mi presentassi candidato alle elezioni autonomiche del ’99. Io gli dissi: “Sì, non dico di no, ma a alcune condizioni”. Lui mi chiese: “A che condizioni”. “Il federalismo”. Lui disse: “Ma sarà federalismo cooperativo?”. “No, no, federalismo differenziale”. Perché in Spagna ci sono nazionalità. Negli Stati Uniti ci sono differenze tra est, ovest, nord, sud, ma non nazionalità, non lingue. Invece in Spagna sì, la Spagna è una nazione di nazioni. Il federalismo spagnolo, che ha una tradizione, questo è importante, denominava la Spagna come una nazione di nazioni. Alcuni dicevano non Spagna ma Iberia. Cosa che probabilmente in futuro si realizzerà. Con la sparizione delle frontiere sta accadendo. Quindi, tornando al punto, la Spagna è una nazione di nazioni, la Costituzione non lo dice, deve dirlo e deve nominarle. La riforma dello Statuto è stata una maniera indiretta di risolvere questo errore ma è stato tanto complicato che non ne valeva la pena.

Lei dopo l’approvazione dello Statuto lasciò...
Una volta approvato me ne andai. Avevamo conseguito le cose più importanti, quello che sembrava la cosa più importante, il riconoscimento delle competenze e dall’altro lato avevamo cambiato il contenuto della politica sociale, della politica urbana, i quartieri, c’è stata una devoluzione interna alla catalogna molto importante.

Un asse Italia-Spagna in Europa


Parliamo ora di Europa...
Europa non è l’asse Parigi-Berlino o franco-tedesca. Il compimento dell’Europa fu l’abbraccio di francesi e tedeschi dopo due guerre mondiali. Ma ora è il momento che Italia e Spagna dicano: "Siamo qua anche noi!". Europa non è solo parigi e berlino e Londra e il Banco dell’est. No Europa è anche il mediterraneo, la relazione con la Turchia, la Grecia, vedere che sta succedendo nel nord Africa. Non è solo questo, ma altre cose più importanti, ci vuole una Banca del mediterraneo.
Spagna e Italia devono impugnare questa bandiera: edificare l’Europa a partire dal sud, guardare all’est e al nord Africa. La materia irrisolta è questa. Nessuno lo ha fatto e io credo che sia importantissimo. L’Europa che si muove, quella di Rutelli, di Zapatero e Prodi, di Erdogan, speriamo, deve fare questo.

La dirigenza politica italo spagnola è cosciente della necessità di un “asse”?
Il mondo economico sì. Enel-Endesa, Autostrade-Albertis, questo è un fatto. A parte le lamentele di alcuni ultra liberisti c’è un asse tra imprese. Io credo che senza l’asse imprenditoriale Italia-Spagna, l’asse politico Europa-mediterraneo è più difficile.

Ma questo asse imprenditoriale è stato criticato perché accusato di assolvere a necessità politiche e non del mercato.

C’è un interesse politico che questo funzioni perché la politica ha bisogno di uno sfondo economico. Che sia liberale, corretto, rispettando la competizione, ma la politica deve anche guardare a curare degli interessi imprenditoriali strategici. Con molta attenzione, perché non si deve mai dire che l’economia viene sottomessa alla politica, che si fanno operazioni che non sono solide economicamente.

sabato 24 marzo 2007

No vas a tener una casa en la puta vida!

Continua questo strano movimento che fa sentadas (sit-in), manifestazioni, proteste.
Che pone problemi e proposte ai candidati alle prossime elezioni locali. A quelli di sinistra, soprattutto. Ai quali, se sono al governo, chiedono perché non affrontano il tema, se sono all'opposizione, chiedono programmi precisi per risolverlo.


L'ultima mobilitazione nazionale, ne parlammo, era stata convocata prima di natale con lo slogan che intitola questo post: a ricordare, tra regali e buoni sentimenti, che la vita è una merda, anche.

Oggi nuovi appuntamenti. Un successo: 50 mila manifestanti a Madrid (secondo gli organizzatori, aspettiamo i dati del manifestometro), altre migliaia nelle 56 città che hanno risposto all'appello. Tra le quali Barcelona, Zaragoza, Sevilla, Jerez, Santander, Murcia, Cáceres, Salamanca, A Coruña, Vigo, Oviedo, Gijón, Huesca, Mallorca, Tenerife, Badajoz o Cáceres.

Gli slogan di Madrid (dalla cronaca di Abc): «Espe, espe, especulación» (con riferimento a Esperanza Aguirre, presidente popolare dell'Autonomia) o «Qué pasa, qué pasa, ¡que no tenemos casa!».
E striscioni e tazebao con scritto: «Seguimos en la puta calle por una vivienda» (Di nuova sulla fottuta strada per una casa»), «Vender estos pisos, a estos precios, pues va a ser que no» («Vendere queste case, a questi prezzi, magari no») o «Se alquila tu vida» («Affittasi la tua vita»).

Per gli organizzatori (un cartello di associazioni riunite nell'Assemblea contro la precarietà e per una casa diglitosa) l'obiettivo era quello di organizzare «manifestazioni di massa simultanee che superassero la capacità di sopportazione e di manipolazione dei politici». Ai quali va il messaggio che «In tempi pre-elettorali, di promesse, di bugie», quelli che «non hanno fatto niente» tenteranno di convincere i cittadini che «da adesso sì che il problema della casa si prende sul serio, sì che agiranno e sì che difenderanno quei diritti che il mercato gli ha fatto dimenticare».

Già mercoledì scorso membri dell'Assemblea hanno dormito per strada a Madrid, tra la Gran Vía e Plaza de Callao, per ribadire che «mentre le amministrazioni pubbliche e i partiti politici continuano a sprofondare nelle loro crispaciones private» i giovani continuano «a stare per strada e quel che è peggio, senza proposte solide per affrontare il problema della casa».


Per sapere di più sul movimento, una delle associazioni principali è la Plataforma por una vivienda digna.

[vignette del geniale Forges (El País)]

Scoppia la guerra tra il Pp e Prisa

Nessun rappresentante del Pp parteciperà a nessun titolo a trasmissioni televisive, radiofoniche o rilascerà dichiarazioni a giornalisti del Gruppo Prisa, le prenotazioni di spazi pubblicitari sui media del gruppo sono state tutte annullate.

Il Pp risponde così alle dichiarazioni ostili del dominus del gruppo, Jesús de Polanco.

Doveva capitare, prima o poi, che tra il Pp e la stampa scoppiasse la guerra.
La crispación, l'innalzamento continuo del livello di polemica e scontro politico, portata avanti dal Pp e da alcuni media spagnoli, è da tempo nel mirino di parte della stampa.

Anche testate non certo vicine al governo, come il conservatore-monarchico Abc, e numerosi commentatori politici di diverse tendenze, avevano espresso la loro contrarietà all'utilizzo di ogni tema, anche di estremamente delicati, come le stragi di Madrid del 2004 e la politica sul terrorismo, come strumenti dello scontro politico e per delegittimare il governo.

Com'era normale la battaglia si è accesa col Gruppo Prisa, che rappresenta la Spagna democratica che, dopo la transizione, ha fatto il suo ingresso in Europa.

È bastato che Jesús de Polanco, dominus del gruppo (una potenza editoriale del quale fa parte, tra l'altro, il quotidiano più venduto, El País, e la radio più ascoltata, Cadena Ser), durante un intervento alla Giunta generale degli azionisti, rispondendo alla domanda di un azionista, facesse esplicite critiche alla crispación, perché il Pp decidesse di dichiarare la guerra.

De Polanco ha detto che il gruppo cerca di essere neutrale ma che è difficile condividere l'azione politica di alcuni partiti, che si costruisce un clima guerracivilista, che si fanno manifestazioni che esaltano i simboli franchisti.

E ancora che «Il gruppo Prisa vorrebbe collaborare perché in Spagna ci fosse un partito di destra moderno, laico, con la voglia di conservare quello che c'è da conservare e trasformare quello che c'è da trasformare, lo appoggeremmo. È quello che ci manca. Già abbiamo un partito di sinistra assolutamente democratico, che funziona. Avrà avuto successi ed errori. Ma non abbiamo dall'altra parte un partito di destra del quale si possa dire: le alternanzne al potere non hanno altre conseguenze che il cambiamento del gruppo dirigente. Non con quello che sembra stiano preparando: che se questi signori recuperano il potere lo faranno con una voglia di vendetta che a me, personalmente, dà molta paura».

Certo, ci è andato giù duro, ma non ha detto nulla che non sia condiviso da molti, in Spagna, anche se non possiedono il più grande gruppo editoriale del Paese. Altri passaggi li trovate qui.

La furia del Pp ha suscitato le prime dure critiche, Anche Reporteros sin fronteras, la sezione spagnola di Rsf, ha emesso un comunicato che condanna il «ricatto» del Pp. Mentre la Giunta direttiva dell'Associazione della Stampa di Madrid (Apm) ha chiesto ai partiti «Che in nessun caso limitino l'accesso dei giornalisti all'informazione».

[foto: Il presidente del Grupo PRISA, Jesús de Polanco, durante la Junta General de Accionistas. (c) Uly Martín/El País]

domenica 11 febbraio 2007

De Juana superstar

Dopo un lungo periodo senza aggiornare riprendiamo una lettera di un ex carcerato etarra sul caso de juana, inviata alla radio Cadena Ser. «Non me ne frega un cazzo se muori», è il senso dell'intervento, sintetizzato allo stesso anonimo autore, che rammenta diversi motivi di repulsione personale e politica derivati dal comportamento passato di de Juana, sia come militante che come carcerato. Anche se in spagnolo è abbastanza comprensibile, la lettura è consigliata.

Il caso de Juana è la manna del giornalismo militante antigovernativo spagnolo.
Ma il colpaccio lo fanno gli inglesi (che, come sempre, parlano dell'Eta come gruppo indipendentista e non sia mai terrorista) con questa intervista del Time (versione inglese e spagnola) che fa tanto martire fin dal titolo: «Legato e macilento, assassino dell'Eta difende la pace dal suo letto di morte».

Le affermazioni di de Juana vanno invece in altra direzione: «Sono totalmente d'accordo col processo democratico di dialogo e negoziato per risolvere il conflitto politico tra Euskal Herria e gli stati spagnoli e francese».

Riaffermando l'esistenza di Euskal Herria, la nazione mitologica che comprenderebbe il Paese basco, la Navarra e i paesi baschi francesi e negando le uniche basi sulle quali il dialogo è possibile: cessazione della violenza, scioglimento dell'Eta, cessione delle armi, misure di reinserimento e avvicinamento di carcerato o ex carcerati dell'Eta e di rientro degli esuli o latitanti all'estero non colpevoli di fatti di sangue.

(fonte escolar.net)

venerdì 26 gennaio 2007

Il Caso Chaos

Il terrorista José Ignacio (Iñaki) De Juana Chaos resta in carcere.

La giustizia spagnola ha respinto la richiesta di concedere gli arresti domiciliari all'irriducibile dell'ETA che è in sciopero della fame dal 7 novembre, ha perso 37 chili e, secondo i medici che si preparano ad alimentarlo a forza, è in condizioni critiche.

Una vicenda complessa che ha spaccato la magistratura.
L’iniziativa di nove giudici dell’Audiencia Naciónal ha fatto sì che la decisione non venisse presa dal tribunale che aveva giudicato e condannato Chaos ma dalla Sala de lo Penal, composta da 17 magistrati, 14 dei quali hanno votato contro la concessione dei domiciliari.

Ma qual’è la storia di De Juana Chaos?
È quella di un ex poliziotto basco divenuto terrorista dell’Eta e condannato a oltre 2500 anni di carcere per 18 sanguinosi omicidi e altri gravi reati, la cui personalità è stata giudicata dai periti pericolosa e ossessiva.

Per il codice penale franchista del 1973, sulla base del quale avvenne il primo processo, il limite di pena era di 30 anni, divenuti 40 per reati di terrorismo con la riforma del ’95, vigente quando si tennero i successivi due. Periodo sul quale si calcolano sconti di pena e benefici.
In conformità alle leggi, dopo 18 anni di reclusione, Chaos aveva scontato il suo debito con la giustizia.

Alla vigilia della sua scarcerazione un’aspra campagna di stampa ha promosso una discutibile ricerca di escamotage legali che impedissero il suo ritorno alla libertà. Trovati in due sue articoli pubblicati sul quotidiano Gara nei quali, denunciando le condizioni dei membri dell’Eta in carcere, pronunciava quelle che sono state considerate minacce contro il personale carcerario. In un nuovo procedimento de Juana Chaos venne condannato a 12 anni in primo grado.

Assieme alla richiesta dei domiciliari, l’etarra ha iniziato lo sciopero della fame, in seguito al quale, viste le condizioni di salute, il pubblico ministero ne ha chiesto la concessione. Ma il voto dei giudici della Audiencia Naciónal ha interrotto questo percorso.

Questi i fatti: un terrorista assassino che ha saldato il suo debito con la giustizia e che è stato condannato nuovamente per un reato non materiale ma di opinione, non ancora in via definitiva; dei giudici che anziché affrontare in punto di legge la vicenda la politicizzano. Sullo sfondo, la guerra senza quartiere del Pp e dei media di destra al tentativo di dialogo tra governo e Eta, interrotto dopo la bomba di Barajas ma ancora presente, sottotraccia, nella società e nella politica spagnola.

giovedì 18 gennaio 2007

La morte dignitosa di Madeleine Z.

Una donna di 69 anni affetta da sclerosi laterale amiotrofica, di origine francese ma residente da anni in Spagna, ha volontariamente posto fine alla sua vita il 12 gennaio, prima che la malattia la paralizzasse completamente. Il governo viene accusato di non compiere i suoi impegni elettorali riguardo all'eutanasia.


Madeleine aveva reso pubblica la sua decisione da tempo, con l’intenzione di rilanciare nuovamente il dibattito sul suicidio assistito, per stimolare un «cambiamento culturale».
Per questo aveva pensato di «fare una festa» d'addio, ma si era ricreduta: «Non si può spiegarlo a chiunque, la gente non capisce. La morte è mia, mi appartiene».
«Voglio smettere di non vivere, questa non è la vita», aveva detto alla stampa per spiegare la sua decisione.

Per la Spagna si tratta di un nuovo Caso Sampedro.
Ramón Sampedro, tetraplegico da quando aveva 25 anni, si suicidò 55enne nel 1998, dopo una inutile battaglia legale per ottenere assistenza medica e il riconoscimento della sua decisione. La vicenda venne portata sullo schermo nel bel film Mar adentro di Alejandro Amenábar, Oscar 2005 come miglior film straniero, splendidamente interpretato da Javier Bardem.

La vicenda riacutizza una polemica politica tra il governo Zapatero e i partiti che lo appoggiano in Parlamento.

Il programma elettorale del Psoe riportava: «Eutanasia. Promuoveremo una commissione nel Congresso dei deputati che consenta di dibattere il diritto all’eutanasia e alla morte degna, gli aspetti relativi alla sua depenalizzazione e il diritto a ricevere cure palliative». Tre anni dopo la commissione non esiste e Izquierda unida e Esquerra republicana de Catalunia hanno più volte sollecitato il governo a vararla.

Per i socialisti, però, il tema non ha sufficiente appoggio sociale per essere trattato. Malgrado le inchieste di opinione registrino come una maggioranza che varia dal 65 al 75% sia favorevole alla "morte dignitosa" e consideri necessaria una sua regolamentazione.
Zapatero, evidentemente, non intende aprire ora un nuovo fronte con la chiesa spagnola e precludersi l'appoggio dei cattolici nazionalisti catalani di Convergencia i Uniò.


«Sono in una nuvola, ma contenta... Davvero, me ne vado poco per volta. Sto molto bene».
Queste le ultime parole di Madeleine Z., riferite dai volontari della Associazione per il Diritto a una morte dignitosa che le sono stati vicini fino alla fine.


[Foto tratte da El País]

mercoledì 17 gennaio 2007

¿De acuerdo? ¡Nada de nada!

Anche la revisione al rialzo del patto antiterrorismo sfocia in un nulla di fatto, sotto il fuoco incrociato di Pnv e Pp.

Non è andato lontano il rilancio di Zapatero, a seguito della bomba dell'Eta che, assieme alle vite di Diego Armando Estacio e Carlos Antonio Palate e al parcheggio del Terminal 4 dell'aeroporto di Barajas, ha distrutto anche il tentativo di dialogo.

Non c'era del resto da aspettarsi soluzioni diverse: il Pp non aveva nessuna intenzione di cambiare le sue posizioni e accettare un nuovo patto voleva dire abbandonare il vecchio, che rappresentava la sponda istituzionale di un comportamento politico che di istituzionale ha ben poco; né il Psoe aveva fatto nulla per costruire realmente le condizioni per proporre un nuovo patto ai partiti politici spagnoli.

Quello che colpisce, semmai, è che Pnv e Pp non abbiano rinunciato a giocare il loro ruolo da "battitori liberi". In particolare i nazionalisti cattolici baschi, che hanno posto condizioni campate in aria, come la revoca della Ley de partidos, levando dalle spalle del Pp il peso di essere l'unico partito a impedire l'accordo.

Le dinamiche basche hanno percorsi propri. La bomba del T4 fa esplodere le contraddizioni anche in seno a Batasuna, il partito della sinistra indipendentista messo fuori legge dalla Ley del partidos perché ritenuto braccio politico dell'Eta.
Otegi, il leader di Batsuna (ma è ancora così?), non ha condannato l'attentato, cancellando la possibilità di un ritorno alla legalità del partito per le prossime amministrative basche. Il Pnv, che negli utlimi anni ha accentuato il suo indipendentismo anche per pescare voti nel serbatoio della sinistra radicale che non ha più un referente elettorale, vuole continuare su questa strada e quindi propone di abbandonare tout court la Ley, tanto non se ne fa nulla, strizzando l'occhio agli elettori penalizzati dalla legge.
Elettori che si sono espressi nel voto al Partito comunista delle terre basche, formazione che si presenta da anni ma che ha sfondato nelle utlime amministrative proponendosi come espressione dell'elettorato di Batasuna, e della quale, dal canto suo, il Pp ha chiesto la messa fuori legge come condizione per discutere il nuovo patto. Altra richiesta irricevibile.

Malgrado zapatero abbia lanciato il nuovo patto solo come mossa difensiva - buttandolo in faccia al Pp, con mossa tardiva e un po' indispettita, più che facendo una proposta concreta - il problema principale della democrazia spagnola davanti all'Eta risiede proprio nella mancata unità delle forze democratiche davanti al terrorismo e al radicalismo politico indipendentista, come il tentativo di dialogo di Zapatero ha dimostrato.
Senza unità non si dialoga con un gruppo terrorista separatista. Nessun governo è in grado di sostenere una trattativa con il maggiore partito dell'opposizione contro.

Il patto antiterrorismo è effettivamente morto. Perché non adeguato ai tempi. Il testo esclude qualsiasi dialogo con l'Eta, e già questo basta per renderlo inattuale. Ma è superato perché discende da un periodo politico concluso: aveva un senso nel 2000, quando esprimeva il patto tra i partiti "costituzionalisti" (Pp e Psoe), funzionale alla costruzione di un rifiuto di massa del terrorismo nel Paese basco, all'isolamento delle posizioni indipendentiste e alla risposta alla tattica del Pnv, pronto a accelerare sulle sue posizioni indipendentiste per consolidare il suo potere. Ora non l'ha più.

Adesso, per andare avanti, occorrerebbe un nuovo patto tra tutti i partiti che rifiutano la violenza come strumento politico e riconoscono la Costituzione.
Oppure, meglio, nessun patto.
Piuttosto che questo Patto ormai continuamente tradito e inadeguato ai tempi, cui si aggrappa ormai solo il Pp per nobilitare le sue posizioni, meglio che i partiti siano responsabili nel parlamento e nelle urne delle proprie scelte.

martedì 16 gennaio 2007

Tra Zapatero e Rajoy nessuna distensione

Zapatero ha riferito alle Cortes sulla rottura del cessate il fuoco da parte dell’Eta.









Già di per sé si è trattato di evento irrituale: per la prima volta il presidente del governo viene chiamato a rendere conto davanti al parlamento della sua politica sul terrorismo - il che dà la misura della collaborazione istituzionale tra maggioranza e opposizione. In più, la giornata parlamentare ha sancito la definitiva rottura tra Pp e Psoe.

Nel suo intervento Zapatero ha espresso le condoglianze per le vittime; si è scusato per l’ottimismo manifestato nel discorso del 29 dicembre (stiamo meglio di un anno fa e tra un anno staremo meglio, disse a proposito del Processo di pace e il giorno dopo avvenne l’attentato); ha sottolineato di aver agito rispettando la legge e il mandato espressogli dal parlamento; ha dato all’Eta tutta la responsabilità della rottura del processo di pace; ha proposto un nuovo patto antiterriorismo, allargato a tutti i partiti democratici.
Qualche abilità oratoria, come la ripetizione quasi letterale di alcune frasi prese dal discorso di Aznar in occasione della rottura della tregua del ’98; qualche frecciatina al Pp che non ha dato il suo appoggio.
Non ha però detto gran che su quali basi poggerebbe un nuovo eventuale patto, anche se ha aperto esplicitamente al Pnv.

Dal canto suo Rajoy non ha recesso di un millimetro, anzi.
Nessuna trattativa con l’Eta è possibile; il governo è stato imprudente, frivolo, irresponsabile; quale affidabilità possono avere le proposte che vengono da Zapatero, le sue analisi? Poi ha messo nero su bianco ciò che il Pp aveva solo insinuato finora, ma che ha guidato il partito in questi mesi: «Se non compie quello che chiedono i terroristi, metteranno le bombe; se non ci sono bombe è perché ha ceduto».

Durante le repliche le accuse reciproche si sono fatte anche più dure e alla fine, malgrado l’appoggio di tutti gli altri gruppi alla politica del governo, la frattura resta intatta. Né la disponibilità di Rajoy a partecipare agli incontri nei quali verrà proposto il nuovo patto antiterrorista, inverte la corrente: sulle basi di questo scontro politico nessun accordo è possibile.

Quello che Zapatero non ha detto è che la lezione da trarre è che nessuna trattativa coll'Eta può essere iniziata in mancanza di un accordo tra i due maggiori partiti.
Avrebbe voluto dire delegittimare il percorso portato avanti finora, nella convinzione che il Pp si sarebbe prima o poi aggregato al processo: andare avanti, aspettando il momento.

Con l'Eta come interlocutore, questo non è possibile.

[foto (efe da El Mundo: 1) Mariano Rajoy; 2) J.L. Rodriguez Zapatero; 3) Acebes e Rajoy ascoltano Zapatero; 4) Zapatero ascolta Rajoy]

martedì 26 dicembre 2006

¿Que pasa, que pasa? ¡Que no tenemos casa!


Diverse migliaia di giovani hanno manifestato in una ventina di città spagnole per rivendicare il diritto alla casa e chiedere misure di contrasto della speculazione.
Cortei e sit in, convocati da diversi collettivi (per esempio questo) e organizzati attraverso la rete (come qui) e le catene di sms, si sono tenuti a Madrid (dove vi sono state cariche di polizia), Barcellona (con oltre settemila persone per la polizia), Valencia, Sevilla, Murcia, Zamora, Alicante, Logroño, Granada, Málaga o Mérida.

Già prima dell’estate si erano tenute diverse manifestazioni sul tema della casa.
Prezzi in costante crescita (con un +7.9% previsto nel 2007 da Caixa Catalunia), boom delle costruzioni, livelli di accesso al credito per l'acquisto fra i più alti d’europa, affitti proibitivi, sono alcuni degli ingredienti che negli ultimi quindici anni hanno convertito la vivienda in un problema per gli spagnoli.


Un resoconto delle principali manifestazioni lo fa il quotidiano catalano la Vanguardia (nella foto efe tratta dalla galleria acclusa, un momento di tensione a Madrid).

domenica 17 dicembre 2006

A Zap duole il chip


Zapatero delude a sinistra.

1. Il software libero

Dopo il progetto di legge sulla memoria storica, le decisioni sull’insegnamento della religione nelle scuole e l’accordo sul finanziamento della chiesa (delle quali ci occupiamo prossimamente) il governo Zapatero apre un’altra frattura con il suo elettorato di sinistra, in particolare quello più giovane. Motivo del contendere è la proposta non di legge sul software libero presentata dal Psoe e approvata il 12/12 dal Congresso, praticamente all’unanimità.

La proposta parte con le migliori intenzioni: la necessità di stabilire politiche che favoriscano in Spagna lo sviluppo del Software libero e del codice aperto per quelle necessità alle quali attualmente risponde solo il software proprietario.
Già quest'ultima è un'affermazione decisamente poco fondata, ma è il risultato complessivo che, secondo i critici, va in direzione opposta.

Il testo viene accusato di ricalcare il programma dell’Iniziativa per la scelta del software, organizzazione che, malgrado il nome, è una lobby capitanata da Microsoft per contrastare la diffusione del software libero in Spagna.
Un confronto tra i due testi, effettivamente disarmante, è reperibile in un post di Ignacio Escolar pubblicato sul blog dei blogger de El País.

Un’altra critica è politicamente netta: il governo avrebbe avuto un approccio buonista totalmente inadatto alla questione che, consapevolmente o inconsapevolmente (e la cosa sarebbe anche più grave), gli avrebbe fatto fare il gioco della lobby del software a scapito dell’interesse pubblico di ricercare il risparmio nei costi amministrativi e la migliore qualità dei prodotti, degli interessi dell’industria informatica nazionale e della sbandierata volontà di aumentare gli spazi per le "tecnologie democratiche".

Psoe e Parlamento vengono accusati di non aver guardato all’esperienza della Extremadura, prima Autonomia spagnola, peraltro a guida socialista, ad abbracciare il software libero col progetto Linex.
Inoltre, un anno fa giunse in Parlamento una iniziativa a favore del software libero presentata da Izquierda Unida e da alcuni partiti nazionalisti che venne bocciata dal Psoe perché affermava un principio di esclusività, vietando l’uso di SW proprietario nella pubblica amministrazione.

Sostituire l’obbligo con misure concrete per il suo sviluppo sarebbe stato sufficiente, secondo i critici; come pure accoglierne il principio che il SW creato per le PP.AA. e pagato con denaro pubblico debba essere rilasciato con licenza che ne consenta il pubblico dominio.

Ciò non è avvenuto, con grande sollievo dei padroni del SW.

lunedì 11 dicembre 2006

Capitan Trueno e il ministro della Giustizia

In Italia lo conoscono solo pochi appassionati di fumetti, in Spagna è amato da cinquant’anni.
Capitan Trueno, creato nel 1956 da Victor Alcazar (Victor Mora) e Ambros (Miguer Ambrosio Zaragoza), ha appassionato gli spagnoli ingrigiti dal franchismo con le sue avventure e il suo idealismo.

Ricco, sapiente e guerriero, l’eroe sceglie di levare la sua spada per proteggere i poveri e liberare gli oppressi, percorrendo in lungo e in largo un XII secolo dove non manca anche una vena magica e fantastica.

Capitan Trueno ha ottenuto un enorme successo popolare combattendo per la libertà e la giustizia, sempre in paesi stranieri, però, per aggirare la censura del regime - come ha raccontato lo stesso Mora - risultando gradito anche a Franco quando l'eroe proteggeva le frontiere spagnole dalle orde di Gengis Khan.

In occasione del 50°, viene pubblicato un volume, in edizione limitata e numerata che raccoglie quattro avventure nell’originale formato striscia mai ristampate dal 1956, Chandra, el usurpador y otras aventuras, Ediciones B.

Alla presentazione del libro era presente, oltre al 75enne Mora, un entusiasta Fernando López Aguilar, ministro della Giustizia del governo Zapatero, che ne ha scritto la prefazione. Il ministro ha appassionatamente ricordato il “suo” Capitan Trueno: «Non un personaggio reazionario della Spagna franchista ma tutto il contrario: un esiliato, contro i tiranni e a fianco degli oppressi».

López Aguilar - che si è prodotto anche in un abile disegnetto dell’amato personaggio (a lato) - vicino a Zapatero da anni, è il prossimo candidato alle elezioni regionali delle Canarie, mandato da Zapatero a conquistare il governo autonomico.

Il fatto che sia già certa la sua candidatura ma continui a esercitare come ministro, come la legge gli consente fino all’aprile 2007, gli ha attirato l’accusa del Pp e dei nazionalisti di Caolición Canaria di aver fomentato l’azione della magistratura in uno scandalo di corruzione che coinvolge il sindaco di Santa Cruze de Tenerife.

Zapatero non ha nessuna fretta di sostituire un pezzo chiave dell’esecutivo ma per il ministro la posizione comincia a diventare scomoda. Anche l’autorevole El País, sabato scorso, ha sentenziato: «Per ingiuste che siano le critiche, è arrivato il momento che López Aguilar accetti la difficoltà di rendere compatibile la doppia funzione di ministro e di candidato regionale e comprenda che, come la moglie di Cesare, non gli basta essere onorato».

Per tornare all’eroe di carta, ribadiamo che è una colonna della cultura popolare spagnola, protagonista anche di numerosi romanzi, di molte pubblicità, in procinto di sbarcare sul grande schermo con una produzione internazionale e protagonista di uno dei migliori giochi elettronici della storia - a detta delle fonti web - peraltro prodotto da una software house spagnola, la Dinamic.
Era il 1990, girava su Amstrad, Spectrum e Amiga e ne fecero anche una versione Ms-Dos. Naturalmente scaricabile.

giovedì 23 novembre 2006

Nel Pp comincia la lotta per il dopo-Rajoy



Le due anime del Pp si preparano al dopo-Rajoy.
La presidente della Comunità di Madrid, Esperanza Aguirre, è la rappresentante dell’ala dura degli aznaristi mentre il sindaco di Madrid, Alberto Ruiz Gallardón , rappresenta l’ala pragmatica del partito (i due nella foto bn).
Il confronto si è svolto finora sotto traccia ma la pubblicazione della biografia autorizzata della Aguirre, scritta dalla giornalista Virginia Drake, ha aperto le ostilità pubbliche. Il titolo del libro, La Presidenta, sembra alludere infatti a una futura presidenza del governo più che a quella del distretto della capitale.
La stampa si è già schierata, con Abc che preme per un rinnovamento del partito, rappresentato da Gallardón, e El Mundo e La Cope, la radio della Conferenza episcopale, che attaccano Gallardón e Abc.
Il posizionamento delle truppe avviene con congruo anticipo. Lo scenario più probabile rimanda lo scontro al 2012, dando tutti per scontata una vittoria di Zapatero nelle prossime elezioni, malgrado le difficoltà del governo nel processo di pace con l’Eta e i segnali di contrazione del favore elettorale del governo che vengono dalle inchieste di opinione facciano sperare gli aznaristi che non tutto sia perduto per il 2008.
E anche se tutto questo rende ancora più debole la leadership di Mariano Rajoy (foto colore coi due) si prospetta uno scontro senza esclusione di colpi.

martedì 21 novembre 2006

Signore e signori, Miguel Sebastián!


Era stato nominato candidato del Psoe a sindaco di Madrid a conclusione di uno psicodramma che aveva attraversato il Psoe.
Per contrastare l’attuale sindaco del Pp, il fortissimo Alberto Ruiz-Gallardón, si era fatto prima il nome della vice-presidente del governo, María Teresa Fernández de la Vega; poi per giorni è rimasta pendente la richiesta ufficiale di Zapatero a José Bono - ex ministro della difesa e avversario sconfitto nella corsa alla segreteria del congresso del 2000 – che dopo aver detto nì, si è deciso per il no; alla fine Zapatero lo ha spinto nell’arena presentandolo personalmente.
Ma da allora Miguel Sebastián - 49 anni, il consigliere economico più vicino a Zapatero nella segreteria e nel governo - non si era ancora manifestato al mondo nelle sue vesti di candidato, attirando le ironie della stampa di centro destra sul «candidato invisibile», predestinato alla sconfitta.
Sebastián ha atteso l’investitura ufficiale dell’esecutivo del Partito socialista madrileno, avvenuta sabato scorso, per iniziare la sua corsa alla carica di primo cittadino della capitale, con un intervista alla radio Cadena Ser.
Attaccando sui temi economici, «il debito di Madrid cresce di 60 euro al secondo», e sulle grandi opere che flagellano la capitale, «con Gallardón i lavori non finiranno mai».
Ne ha di strada da fare il candidato del Psoe, ex direttore del Servizio studi del BBVA e professore dell’Università Complutense di Madrid.
Gallardón, ex presidente della Comunità autonoma di Madrid, il distretto della capitale, e dal 1999 sindaco della città, non sembra avere rivali.
Il tutto è un cruccio enorme per il Psoe, che ha sfaccettature inattese.
Conquistare Madrid sarebbe un grande risultato ma vorrebbe anche dire indebolire Gallardón nel Pp. L’attuale sindaco di Madrid rappresenta la punta di diamante di quei dirigenti del Pp che scalpitano per sostituire la vecchia guardia di Aznar che ancora domina il partito. Un avvicendamento per Zapatero necessario. Per attuare il programma di riforme e il dialogo con l’Eta, il governo ha assolutamente bisogno che il Pp sia un interlocutore attendibile che si misura con questi temi con senso dello Stato. Una sconfitta di Gallardón, rafforzerebbe gli aznaristi. Una sua vittoria, non gli impedirebbe, nel caso di una seconda grave sconfitta del Pp nelle elezioni del 2008, di muovere l’attacco alla segreteria del Pp.
La sconfitta annunciata sarebbe quindi un male sopportabile nel medio periodo per Zapatero. Posto che tutto vada come deve andare, che il dialogo con l’Eta non diventi un boomerang e che il Pp non tiri fuori un asso dalla manica – come la candidatura di Rodrigo Rato, ex ministro economico e attuale direttore dell’Fmi – per le prossime elezioni generali.

Moratinos in Vaticano


Oggi il ministro degli Esteri del governo spagnolo è a Roma per un incontro col segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Tarcisio Bertone, e col segretario per le Relazioni con gli Stati (il ministro degli Esteri vaticano), arcivescovo Dominique Mamberti.
Temi dell'incontro saranno le relazioni tra governo e Chiesa, entrati in una fase di dialogo dopo lo scontro che ha caratterizzato i primi due anni della legislatura, e l'accordo sul finanziamento raggiunto l'estate scorsa e formalizzato in settembre con la riforma del finanziamento della Chiesa varata dal governo.
Dopo che la legge ha elevato dallo 0,5% allo 0,7% la quota Irpef destinabile dai contribuenti al finanziamento della chiesa cattolica, il governo spagnolo vuole evidentemente che Roma metta la sordina alla componente della chiesa spagnola che fa apertamente propaganda politica assieme al Partido popular contro il dialogo in atto con l'Eta e la riforma territoriale messa in atto da Zapatero.
Su questi temi è divisa la stessa Conferenza episcopale spagnola (Cee), il cui presidente, il moderato Ricardo Blázquez, davanti al plenum della Cee di ieri, si è rifatto allo stile di Benedetto XVI per invocare un addolcimento dei rapporti col governo, in contrapposizione alla componente antigovernativa della curia.