mercoledì 4 luglio 2007

È tempo di migrare...




Non di morire, no.
Solo, Coseiberiche trasmigra su un altra piattaforma, b2evolution, e entra nel panel di blog di Communicagroup. Diventando www.coseiberiche.info.

Questo blog resterà attivo e troverà un suo senso, forse, col tempo.
Ma ora la direzione da prendere è un'altra.

Grazie a chi mi ha seguito finora e continuerà a farlo.
E grazie a Blogger, che mi ha fatto muovere i primi passi da blogger.

martedì 19 giugno 2007

Presentazione bolognese

Aggiornamenti pochi, presentazioni tante.
Questo periodo va così.

Abbiate pazienza e se siete bolognesi, almeno giovedì, e non sapete che fare in serata...

mercoledì 6 giugno 2007

L'Eta annuncia la fine del cessate il fuoco

Con un comunicato al quotidiano Berria, l’Eta ha annunciato la fine del cessate il fuoco proclamato nel marzo 2006. Una rottura anticipata all’indomani delle bombe di fine anno dell’aeroporto di Barajas ma non ancora ufficializzata.

Un passaggio che arriva non a caso ora, perché, malgrado l’attentato e la contrarietà del Partido Popular al processo di dialogo, sottotraccia continuavano i passi per ripristinare il processo e restavano valide le condizioni che avevano determinato tante aspettative: la stanchezza dei baschi verso la violenza e l’erosione del consenso sociale dell’Eta, il diverso approccio alle questioni nazionali spagnole che il cambio di governo a Madrid portava con sé.

Condizioni che hanno fatto agio anche sulla grande debolezza di questo tentativo: la divisione tra i partiti democratici, con la contrarietà del Pp a appoggiare la politica antiterrorista del governo, utilizzata anzi nello scontro politico quotidiano. Il governo ha portato avanti il tentativo convinto che i popolari si sarebbero, prima o poi, incorporati in esso. Cosa che non è avvenuta.

La rottura non giunge ora per caso. Le elezioni amministrative del 27 maggio avevano rafforzato le posizioni favorevoli al dialogo, in particolare all’interno della sinistra abertzale (la sinistra indipendentista) e avevano anche penalizzato il Pp che, esclusa Madrid, retrocedeva ovunque.
Particolarmente significativa, perché strettamente legata alla scelta di opposizione al tentativo di fine dialogata della violenza, era la perdita di voti e seggi nel Paese basco e in Navarra.

Proprio in Navarra il successo elettorale di Nafarroa Bai (NaBai) ha scosso l’estrema sinistra nazionalista, nella quale Batsuna non è stata in grado di svincolarsi dall’Eta ripudiando la violenza per la risoluzione dei conflitti politici (condizioni necessarie perché il partito venisse legalizzato nuovamente). I settori baschi vicini a Batasuna hanno potuto contare sulle liste dell’Associación nacionalista vasca, storica formazione resuscitata alla bisogna, in buona parte impugnate dal governo quando vi erano candidature direttamente connesse a Batasuna. Ma NaBai ha fatto quel passo che Batasuna non ha compiuto, vincolando la formazione di maggioranze locali con Anv all’esplicita condanna della violenza, compiendo così un importante sommovimento nel campo abertzale. Il rafforzarsi del fronte favorevole a una svolta ha probabilmente convinto l’Eta a riprendere la scena, tentando di dominarne l’agenda.

Cosa aspettarsi adesso? Intanto la Spagna teme che già da oggi torni a scorrere il sangue. Zapatero ha chiesto l’appoggio di tutti i partiti ma il leader del Pp, Mariano Rajoy, lo ha subordinato al cambiamento della politica antiterrorista del governo.
Nel Paese basco e in Navarra continuerà il laboratorio politico per determinare condizioni per un ripristino del dialogo. Aspettando le politiche del prossimo marzo e sperando che il settore dell’Eta contrario al dialogo, che ora ha il sopravvento, non insanguini le strade di Spagna.

mercoledì 30 maggio 2007

Presentazione romana


Sì, lo so, aggiorno poco.
È che il tempo è quello che è e sono anche in giro per presentazioni.
Questa è la prossima.


lunedì 28 maggio 2007

Sartorius parla delle amministrative spagnole

Le elezioni amministrative, che hanno coinvolto 35 milioni di spagnoli, non puniscono la sinistra né la destra: i popolari compiono il sorpasso in numero di voti assoluti (circa 160 mila in più) e i socialisti conquistano amministrazioni.
Anche il governo può essere soddisfatto, perché se gli elettori avessero accettato il tentativo del Pp di convertire le elezioni in un referendum sulla politica terrorista dell’esecutivo, questa sarebbe stata sostanzialmente approvata.
Un voto vissuto dai partiti come un test delle prossime politiche ma utilizzato dai 35 milioni di elettori per esprimersi sui contesti locali nei quali è maturato.

Ne parliamo con Nicolás Sartorius, vice presidente esecutivo della Fondación Alternativas, conoscitore della politica (e dei dati elettorali). Figura storica della sinistra e del sindacalismo spagnoli, non per questo meno autorevole e illuminante. Questo testo è una versione estesa dell'intervista pubblicata su
Europa.

«Si possono fare varie riflessioni. È aumentata l’astensione di circa tre punti, il che denota una stanchezza di un settore dell’elettorato, soprattutto catalogna e Andalusia. Il Pp ha vinto in voti assoluti, ne ha ottenuti 160 mila in più. Il Psoe aumenta in quanto a eletti, al numero di capoluoghi che governerà e di Comunità autonome. Il Pp perde 14 capoluoghi e ne vince due, perde la maggioranza assoluta in tre territori molto importanti, Navarra, Isole Baleari e Canarie, dove il Psoe potrebbe governare in coalizione con altre forze. Il Psoe ha tutta le città di Galizia e Catalogna, ne conquista nel País vasco e in Navarra, in zone molto “sensibili” dove il Pp arretra. Mentre a Madrid ha avuto un successo molto importante, come a Valencia, territori che già controllava. La mia opinione è che, dal punto di vista del potere territoriale, il risultato è buono per il Psoe e il Pp si consola col numero dei voti assoluti».

Il voto può essere considerato un test per le politiche?
Il PP ne ha voluto fare un test nazionale ma in realtà la gente ha votato pensando al territorio. Approfondendo il dato si osserva, si vede studiando i dati elettorali che è molto varaiato perché il voto è locale e non hanno tenuto in conto il dibattito generale.

I partiti si sono scontrati anche sulla politica antiterrorista, non solo perché si votava nel País vasco, con quali risultati?

Bisogna dire che da questo punto di vista nessuno dei due ha ottenuto quello che voleva. Il PP non ha avuto un chiaro voto di castigo per Psoe, che se non fosse stato per Madrid, è avanti ovunque.

Il voto in Navarra come riflette l’acceso dibattito nazionale sulle politiche anti terroriste.

Lo riflette nel senso che i navarresi non hanno creduto alla propaganda della destra, che se non si votava a destra la Navarra sarebbe diventata parte del País vasco e avrebbe perduto la sua identità. E hanno castigato il Pp navarrese, l’Upn, per la prima volta il Pp perde la maggioranza assoluta e la cosa più probabile è che non governerà. In Galizia, Extremadura, Catalogna il potere del Psoe è aumentato malgrado la politica antiterrorista di Zapatero fosse stata dipinta come una catastrofe per il Paese. La gente non lo ha creduto.

Come leggere l’astensione?
È stata molto differenziata, a seconda dei territori. In Navarra c’è stata una enorme partecipazione [73%, due punti in più del 2003 - NdR], l’astensione c’è stata soprattutto in Andalusia e Catalogna: i tre punti in più vengono soprattutto da lì. Può avere molte cause. C’è n’è una tecnica, che si produce sempre, ed è attorno al 30%. Nelle elezioni municipali, come in questo caso, ci possono essere motivazioni locali, può essere un prodotto della corruzione politica o di dinamiche proprie delle politiche locali. Poi può esserci un’astensione prodotta dalla crispación, ossia lo scontro sistematico fra i partiti, che porta all’astensione una parte degli elettori che non considera produttive le liti tra i partiti. Per quanto riguarda la Catalogna, credo che sia dovuto al processo statutario, nel quale l’atteggiamento dei partiti non è stato edificante, che ha stancato un settore dell’elettorato catalano che si è astenuto. E stanchezza elettorale, vengono da quattro consultazioni di seguito, e in più non c’erano autonomiche. L’astensione è stata alta dove non c’era il traino delle autonomiche e ha colpito entrambi i partiti.

Torniamo alla “valanga popolare” di Madrid...
Credo che il Partito socialista ha fatto errori importanti. Da molto tempo la federazione socialista madrilena ha continue lotte interne, nel partito ci sono battaglie che vanno avanti da molti anni. Poi, i candidati non erano dei migliori rispetto a un obiettivo come Madrid, e non si è presentato un progetto che potesse attrarre molti settori della sinistra. È un insieme di fattori: non hai un buon candidato, non hai un progetto e il partito che c’è dietro non è forte: il fallimento è assicurato.

Le elezioni politiche si tengono a marzo, come ci si arriverà, alla luce di questi risultati?
Credo che il Pp continuerà la stessa politica di scontro e di opposizione dura al governo, anche se è probabile che il leader, Mariano Rajoy, adotti atteggiamenti verbalmente più moderati.
Il governo tenterà di utilizzare questi mesi per accentuare le politiche sociali e dei diritti. Soprattutto, utilizzare la prossima finanziaria per fare una politica avanzata in materia. Punterà sugli aspetti economico sociali, che vanno bene, e tenterà di recuperare quei settori che si sono astenuti questa volta. È probabile che alle politiche l’astensione sarà molto minore, non credo che il governo debba essere particolarmente preoccupato.
Il Psoe deve prendere misure, anche energiche in casi come Madrid, ma il governo affronta le generali con posizioni molto più solide sul piano municipale e autonomico. E per vincere le politiche è molto importante avere un buon potere municipale e autonomico.

giovedì 24 maggio 2007

Video della presentazione del 22 febbraio

Il 22 febbraio il libro Zapatero. Un socialismo gentile, prefazione di Walter Veltroni, manifesto libri 2007, è stato presentato a Roma presso la Libreria Rinascita, in Via delle Botteghe Oscure (nel pieno della crisi di governo).

Il filmato (77') è disponibile grazie alla collaborazione di Arcoiris Tv

Ne hanno discusso con l'autore i giornalisti Aldo Garzia e Antonio Pelayo, corrispondente dall'Italia per l'emittente spagnola Antena Tres.
Introduce Ettore Siniscalchi. Seguono gli interventi di Garzia e Pelayo.

Un ringraziamento di cuore va a Michele Citoni per la ripresa video e il montaggio.

Questo è in Real

Questo in WMV

Per Xvid, Mpg, Mp3 (solo audio) e Podcast, andate alla pagina sul sito di Arcoiris.

[foto (da sx): Antonio Pelayo, Ettore Siniscalchi]

lunedì 21 maggio 2007

Presentazione napoletana


Per i campani che fossero interessati, a Napoli si presenta il libro dell'autore di C o s e i b e r i c h e.
Una biografia politica ma soprattutto il racconto del paese che elegge Zapatero a capo del governo.


giovedì 17 maggio 2007

2000 anni di carcere per l'anestesita


Tra il 1988 e il 1998 in diversi ospedali di Valencia 275 persone vennero contagiate dal virus dell'epatite C. Quattro di loro morirono (anzi cinque: l'ultima, morta poche ore prima della sentenza, non rientra nel conteggio ufficiale).
Il più grande contagio di massa di epatite C mai avvenuto al mondo.




Juan Maeso era anestesita in diversi centri sanitari pubblici e privati valenziani. Un luminare, vizioso, però. Con un debole per gli oppiacei e affini.
Il medico soddisfava la sua tossicodipendenza iniettandosi una parte degli anestetici prima di somministrarli ai pazienti: il primo schizzetto per lui, poi la siringa iniettava il farmaco nella flebo del paziente. Diffondendo così il contagio.

Maeso era un luminare dell'anestesiologia spagnola, il primo della capitale del País valenciano, il rinomato professionista al quale per primi si rivolgevano i colleghi medici quando loro, un parente o un amico dovevano sottoporsi a un'anestesia totale.

A 56 anni era capo del Servizio di anestesia e rianimazione dell'Hospital maternal de la Fe di Valencia (45 contagiati). Prestava servizio anche nella sanità privata, in particolare nella clinica Casa de la Salud (228 contagiati), e dall'87 al '97 fece parte della Commissione creata dalla Generalitat valenciana per combattere le liste d'attesa dei pazienti pubblici nei centri privati convenzionati.

Un medico prestigioso e ammirato e una figura autorevole dell'élite valenziana. Oltre che un tipo originale che girava per la città su una potente moto e passava le vacanze facendo spedizioni in fuoristrada nei deserti africani.
Del suo debole per gli oppiacei pare si parlasse in giro ma, si sa, il profumo del vincitore inebria chi è vicino. E Maeso vincitore lo era: potente, ben introdotto, ricco.


Ogni contagiato vale per il luminare sette anni di carcere, nove ognuno dei quattro deceduti. In totale 1.933 anni di carcere ma ne compirà non più di 22, il massimo della pena prevista dall'ordinamento spagnolo.



Le vittime verranno indennizzate con cifre tra i 60 mila e i 120 mila euri, a seconda della gravità del contagio, 150 mila per i deceduti. A carico della sanità valenziana, responsabile delle pratiche sia degli ospedali pubblici che della sanità privata convenzionata.

Non tutte le vittime avranno il giusto indennizzo, per quanto il denaro possa ripagare la salute perduta.

L'ordinamento spagnolo non prevede che le indennizzazioni si possano adeguare ai peggioramenti dello state di salute: chi all'inizio del processo aveva un'epatite lieve asintomatica per quella verrà indennizzata, anche se nel frattempo ha maturato un'afflizione epatica grave.

Un vuoto che governo e parlamento dovranno riempire.

[fonte e grafico El País]

domenica 6 maggio 2007

Reazioni in Spagna all'intervista di Maragall

L’intervista a Pascual Maragall (vedi il post sottostante) pubblicata da Europa il 25 aprile, e della quale significativi stralci sono stati presentati lo stesso giorno da El País, non è passata sotto silenzio in Spagna, scatenando anzi roventi polemiche.
Maragall aveva detto che «visto col senno di poi, lo sforzo per riformare lo Statuto catalano», le norme che regolano prerogative e competenze dell’Autonomia e del governo centrale, «non è valso la pena». Anzi, «è stato un errore». Dichiarazione esplosiva, visto che Maragall è stato il primo promotore della riforma, che ha suscitato aspre polemiche nazionali.
Numerose dichiarazioni da parte di politici e decine di articoli, commenti e editoriali hanno tenuto per circa due settimane la vicenda sotto i riflettori. Poi blog e giornali telematici. In tutto sono centinaia le pagine relative alle dichiarazioni di Maragall. Qui ne linkiamo una piccola parte. Un po' per permettere a chi è interessato di seguirne (in spagnolo) i passaggi. Un po' per sodddisfazione.


Cominciamo dalla pagina de El País che ha riferito alcuni passaggi dell'intervista e dalla quale è nata la polemica spagnola.

Naturalmente è intervenuto il successore di Maragall alla guida della Generalitat, José Montilla, durante la Sessione di controllo del governo catalano tenutasi il quattro maggio nel Parlament, affermando che «rispetta molto ma condivide poco» il pensiero di Maragall. Parole che arrivano dopo dieci giorni di polemiche, iniziate quando El País ha riferito, in contemporanea con l’Italia, il contenuto dell’intervista di Europa.

Eduardo Zapalana, portavoce parlamentare del Pp, da Berlino, dove si incontrava col suo omologo della Cdu, Volker Kauder, ha ironicamente detto che «è bello vedere che alla fine ti danno ragione». Mentre il segretario del partito, Mariano Rajoy, ha sottolineato «il coraggio e l’onorabilità di Maragall», anche se «la confessione tardiva oramai non serve a nulla».

Sconcerto e prudenza nelle fila socialiste e fra gli alleati. Carod Rovira, di Esquerra republicana (Erc), il partito catalanista di sinistra, ha ricordato che Erc è uscita dalla maggioranza per quello che ora afferma Maragall, cioè la moderatezza del nuovo Statuto. Mentre per il presidente dei rossoverdi di IC-V, Carlos Saura, il testo «rappresenta il maggior grado di autonomia mai ottenuto dalla Catalogna».
Una carrellata delle reazioni a caldo dei partiti catalani la trovate qui.

Maragall ha poi affermato in un’altra intervista di essersi «sentito tradito da Zapatero», che non è stato conseguente alle sue idee federaliste. È toccato alla vice presidente, María Teresa Fernández de la Vega, intervenire per dire che «secondo l’esecutivo la Comunità catalana ha un grande Statuto, buono per i catalani e per la Spagna».

Giornali e opinionisti, con decine di articoli e editoriali, hanno cercato il motivo dell’ offensiva di Maragall, da alcuni giudicata inopportuna. Secondo alcuni, al leader catalano il Psoe ormai sta stretto e l’appoggio incondizionato dato all’esperienza italiana del Partito democratico potrebbe essere una chiave di lettura: la Spagna «federale-differenziale» ricercata da Maragall potrebbe arrivare dalla formazione di un nuovo Partito democratico che sovverta il confronto tra partiti nazionali e nazionalisti. Per altri, anche in Spagna sarebbero maturi i tempi per mischiare le carte delle appartenenze ideologiche novecentesche e creare nuovi soggetti politici. E Maragall dovrebbe essere ascoltato.

A quasi tre settimane dall'intervista, l'ultimo intervento è ancora di José Montilla, che si dice convinto che, col tempo, Maragall rettificherà la sua posizione sull'Estatut.

sabato 5 maggio 2007

L'Estatut? Non è valsa la pena

Questa intervista, pubblicata in esclusiva dal quotidiano Europa il 25 aprile, viene qui presentata in una versione estesa.
I temi sono quelli della costituzione del Partito democratico in Italia, della necessità che Spagna e Italia formino un asse affinché l'Europa guardi più al Mediterraneo e la situazione catalana. Con sorprendenti riflessioni sullo Statuto catalano che hanno scatenato enormi polemiche in Spagna (qui un post che ne raccoglie le principali).


Pascual Maragall, presidente del Partito socialista catalano (Psc), è un autorevole ospite del Congresso della Margherita. È stato il sindaco del rinnovamento di Barcellona, dall’83 al ‘97, e presidente del governo catalano dal 2003 al giugno scorso. Conosce bene l’Italia, dove ha insegnato nel ’97/’98 e segue con interesse la costituzione del Pd, che vede come il primo partito europeo della storia.

Il Pd italiano

Visto dalla Spagna, e quindi dall’Europa, come si vede il processo di costruzione del Pd?
Credo che in Spagna c’è ancora un effetto sorpresa. È un progetto che incomincia a delinearsi e io credo che sia un progetto di rottura, di profonda innovazione, perché stabilisce una nuova dimensione: un partito politico europeo. E in più un partito democratico, cioè che vuole essere a largo spettro, non un partito ideologico tradizionale. In questo senso si deve ancora vedere l’impatto che questo avrà in Europa e particolarmente in Spagna ma in ogni caso sarà importante. È un’innovazione che è pensata nella dimensione corretta: la realtà di oggi di questa nuova nazione che si chiama Europa.

Un processo che offre spunti anche fuori dall’Italia, quindi?

Le due novità di questo partito sono la dimensione ideologica molto ampia ma anche la dimensione geografica. L’interesse che ha per noi è la possibilità della costruzione di un autentico partito europeo. Di sinistra, progressista, liberal-progressista, lo si chiami come si vuole, ma che rompe con la tradizionale derivazione ideologica molto marcata. Io credo che in Spagna il Psoe, col Psc e il Pse [il Partito socialista basco – NdR], devono prendere appunti su questa nuova realtà e vederla come un’opportunità e non come un pericolo o un competitore. Il Partito democratico europeo non è un competitore del Partito socialista europeo ma è un’offerta, un invito a ampliare orizzonti ideologici e geografici.

Ci sono posizioni differenti riguardo all’appartenenza al Gruppo socialista europeo. Per lei si pone il problema di un suo superamento?

Io capisco che il proposito di combinare storie diverse nel Pd in Italia sia già complesso e che sei poi in Europa si fa parte del Pse è ancora più difficile. Se si guarda agli Usa, nei Democratici c’è Obama, Ilary Clinton, esponenti del sud che sono molto conservatori. Il fatto è che a larghi spazi ideologici deve corrispondere una larga varietà di matrici. Credo che ci si stia abituando a questo: un partito non è una chiesa e non deve esserlo, è uno spazio nel quale si sta, più o meno comodamente, più o meno minoritariamente, naturalmente, ma io credo che questa è un’idea che si imporrà anche in Europa: un Partito popolare europeo e un Partito democratico europeo. Perché quello che è decisivo è la dimensione, è l’Europa, è lo spazio. Una realtà che, a differenza degli Usa, ha molte lingue, ha avuto molte guerre interne, ha molte diversità e, nonostante questo, sta creando un nuovo spazio di dimensioni adeguate. Perché nel mondo le economia di scala contano anche in politica, non puoi competere se non hai la dimensione adeguata: l’Europa lo ha visto, voi italiani lo avete visto. Credo che questa è la strada che porta a due grandi partiti europei. Con molte difficoltà, certo. Mussi che va, qualcuno che viene, i tedeschi che non lo capiscono, i britannici che sono scettici.

Da vecchio socialista cosa direbbe a coloro in Italia che non vogliono perdere la loro appartenenza di sinistra?
Quello che dobbiamo tutti capire è che c’è una tendenza: nella misura in cui il mondo si va globalizzando, lo scenario si amplia e gli attori sono di più, hanno più spazio. È quello che voi italiani avete visto. Altri non ancora.

Lo Statuto? Un errore.

Parliamo un po’ della Catalogna. Un governo di sinistra dopo 23 anni e il nuovo Statuto.
La sinistra di fatto già vinse le elezioni nel ’99. Quando tornai da Roma e ci presentammo vinse in voti non in seggi, perché il governo non aveva presentato la legge elettorale e si calcolava il numero dei seggi ancora in virtù di una disposizione transitoria del 1979 molto favorevole alla destra.
Nello statuto del ’79 era proporzionale ma la legge non si compì, si favorirono le circoscrizioni agrarie meno popolate dove la destra nazionalista aveva più voti. Questo ritardò il cambio in Catalogna. Io credo che commettemmo un errore: progettare la riforma dello Statuto anziché luna riforma della Costituzione. La riforma della Costituzione è impossibile? Sì, probabilmente, ma anche quella dello Statuto è stata impossibile, non è approvato, c’è, è vigente ma in forma provvisoria, c’è un ricorso al Tribunale costituzionale. Visto col senno di poi, valeva la pena tanto sfrozo? 287 articoli, specificare le competenze della Catalogna, una per una, in ogni campo, l’economia, la giustizia... No, io credo ora che non è valsa le pena. Perché è uno Statuto che ancora non è del tutto stabile, è approvato in Catalogna, è approvato dal parlamento spagnolo, è approvato nel senato, con molte modifiche, ma anche così c’è un ricorso e passeranno ancora anni... Di modo che forse sarebbe stato meglio concentrarsi nel cambiamento dell’articolo 2 della Costituzione - la Costituzione spagnola è previa alla creazione delle autonomie - dove si crea la figura delle autonomie. Ma non ognuna, pertanto le 17 comunità autonome spagnole non sono raccolte nella Costituzione, il loro nome, i loro limiti, se vuoi. Quello che si dovrebbe fare è un cambiamento, aggiungere nell’articolo due un passo che nomini le 17 autonomie e dica che tre di esse sono nazionalità storiche: Catalunia, Euskadi e Galizia.

Perché il livello delle competenze è già alto.
Questo è già compiuto, per questo forse non c’era bisogno di tante discussioni.

Questa è la proposta di uno stato federale?
Sì. Federale differenziale.
Quando io stavo a Roma mi chiamò González e mi voleva convincere, cenando a Santa Maria in Trastevere, che mi presentassi candidato alle elezioni autonomiche del ’99. Io gli dissi: “Sì, non dico di no, ma a alcune condizioni”. Lui mi chiese: “A che condizioni”. “Il federalismo”. Lui disse: “Ma sarà federalismo cooperativo?”. “No, no, federalismo differenziale”. Perché in Spagna ci sono nazionalità. Negli Stati Uniti ci sono differenze tra est, ovest, nord, sud, ma non nazionalità, non lingue. Invece in Spagna sì, la Spagna è una nazione di nazioni. Il federalismo spagnolo, che ha una tradizione, questo è importante, denominava la Spagna come una nazione di nazioni. Alcuni dicevano non Spagna ma Iberia. Cosa che probabilmente in futuro si realizzerà. Con la sparizione delle frontiere sta accadendo. Quindi, tornando al punto, la Spagna è una nazione di nazioni, la Costituzione non lo dice, deve dirlo e deve nominarle. La riforma dello Statuto è stata una maniera indiretta di risolvere questo errore ma è stato tanto complicato che non ne valeva la pena.

Lei dopo l’approvazione dello Statuto lasciò...
Una volta approvato me ne andai. Avevamo conseguito le cose più importanti, quello che sembrava la cosa più importante, il riconoscimento delle competenze e dall’altro lato avevamo cambiato il contenuto della politica sociale, della politica urbana, i quartieri, c’è stata una devoluzione interna alla catalogna molto importante.

Un asse Italia-Spagna in Europa


Parliamo ora di Europa...
Europa non è l’asse Parigi-Berlino o franco-tedesca. Il compimento dell’Europa fu l’abbraccio di francesi e tedeschi dopo due guerre mondiali. Ma ora è il momento che Italia e Spagna dicano: "Siamo qua anche noi!". Europa non è solo parigi e berlino e Londra e il Banco dell’est. No Europa è anche il mediterraneo, la relazione con la Turchia, la Grecia, vedere che sta succedendo nel nord Africa. Non è solo questo, ma altre cose più importanti, ci vuole una Banca del mediterraneo.
Spagna e Italia devono impugnare questa bandiera: edificare l’Europa a partire dal sud, guardare all’est e al nord Africa. La materia irrisolta è questa. Nessuno lo ha fatto e io credo che sia importantissimo. L’Europa che si muove, quella di Rutelli, di Zapatero e Prodi, di Erdogan, speriamo, deve fare questo.

La dirigenza politica italo spagnola è cosciente della necessità di un “asse”?
Il mondo economico sì. Enel-Endesa, Autostrade-Albertis, questo è un fatto. A parte le lamentele di alcuni ultra liberisti c’è un asse tra imprese. Io credo che senza l’asse imprenditoriale Italia-Spagna, l’asse politico Europa-mediterraneo è più difficile.

Ma questo asse imprenditoriale è stato criticato perché accusato di assolvere a necessità politiche e non del mercato.

C’è un interesse politico che questo funzioni perché la politica ha bisogno di uno sfondo economico. Che sia liberale, corretto, rispettando la competizione, ma la politica deve anche guardare a curare degli interessi imprenditoriali strategici. Con molta attenzione, perché non si deve mai dire che l’economia viene sottomessa alla politica, che si fanno operazioni che non sono solide economicamente.

sabato 24 marzo 2007

No vas a tener una casa en la puta vida!

Continua questo strano movimento che fa sentadas (sit-in), manifestazioni, proteste.
Che pone problemi e proposte ai candidati alle prossime elezioni locali. A quelli di sinistra, soprattutto. Ai quali, se sono al governo, chiedono perché non affrontano il tema, se sono all'opposizione, chiedono programmi precisi per risolverlo.


L'ultima mobilitazione nazionale, ne parlammo, era stata convocata prima di natale con lo slogan che intitola questo post: a ricordare, tra regali e buoni sentimenti, che la vita è una merda, anche.

Oggi nuovi appuntamenti. Un successo: 50 mila manifestanti a Madrid (secondo gli organizzatori, aspettiamo i dati del manifestometro), altre migliaia nelle 56 città che hanno risposto all'appello. Tra le quali Barcelona, Zaragoza, Sevilla, Jerez, Santander, Murcia, Cáceres, Salamanca, A Coruña, Vigo, Oviedo, Gijón, Huesca, Mallorca, Tenerife, Badajoz o Cáceres.

Gli slogan di Madrid (dalla cronaca di Abc): «Espe, espe, especulación» (con riferimento a Esperanza Aguirre, presidente popolare dell'Autonomia) o «Qué pasa, qué pasa, ¡que no tenemos casa!».
E striscioni e tazebao con scritto: «Seguimos en la puta calle por una vivienda» (Di nuova sulla fottuta strada per una casa»), «Vender estos pisos, a estos precios, pues va a ser que no» («Vendere queste case, a questi prezzi, magari no») o «Se alquila tu vida» («Affittasi la tua vita»).

Per gli organizzatori (un cartello di associazioni riunite nell'Assemblea contro la precarietà e per una casa diglitosa) l'obiettivo era quello di organizzare «manifestazioni di massa simultanee che superassero la capacità di sopportazione e di manipolazione dei politici». Ai quali va il messaggio che «In tempi pre-elettorali, di promesse, di bugie», quelli che «non hanno fatto niente» tenteranno di convincere i cittadini che «da adesso sì che il problema della casa si prende sul serio, sì che agiranno e sì che difenderanno quei diritti che il mercato gli ha fatto dimenticare».

Già mercoledì scorso membri dell'Assemblea hanno dormito per strada a Madrid, tra la Gran Vía e Plaza de Callao, per ribadire che «mentre le amministrazioni pubbliche e i partiti politici continuano a sprofondare nelle loro crispaciones private» i giovani continuano «a stare per strada e quel che è peggio, senza proposte solide per affrontare il problema della casa».


Per sapere di più sul movimento, una delle associazioni principali è la Plataforma por una vivienda digna.

[vignette del geniale Forges (El País)]

Scoppia la guerra tra il Pp e Prisa

Nessun rappresentante del Pp parteciperà a nessun titolo a trasmissioni televisive, radiofoniche o rilascerà dichiarazioni a giornalisti del Gruppo Prisa, le prenotazioni di spazi pubblicitari sui media del gruppo sono state tutte annullate.

Il Pp risponde così alle dichiarazioni ostili del dominus del gruppo, Jesús de Polanco.

Doveva capitare, prima o poi, che tra il Pp e la stampa scoppiasse la guerra.
La crispación, l'innalzamento continuo del livello di polemica e scontro politico, portata avanti dal Pp e da alcuni media spagnoli, è da tempo nel mirino di parte della stampa.

Anche testate non certo vicine al governo, come il conservatore-monarchico Abc, e numerosi commentatori politici di diverse tendenze, avevano espresso la loro contrarietà all'utilizzo di ogni tema, anche di estremamente delicati, come le stragi di Madrid del 2004 e la politica sul terrorismo, come strumenti dello scontro politico e per delegittimare il governo.

Com'era normale la battaglia si è accesa col Gruppo Prisa, che rappresenta la Spagna democratica che, dopo la transizione, ha fatto il suo ingresso in Europa.

È bastato che Jesús de Polanco, dominus del gruppo (una potenza editoriale del quale fa parte, tra l'altro, il quotidiano più venduto, El País, e la radio più ascoltata, Cadena Ser), durante un intervento alla Giunta generale degli azionisti, rispondendo alla domanda di un azionista, facesse esplicite critiche alla crispación, perché il Pp decidesse di dichiarare la guerra.

De Polanco ha detto che il gruppo cerca di essere neutrale ma che è difficile condividere l'azione politica di alcuni partiti, che si costruisce un clima guerracivilista, che si fanno manifestazioni che esaltano i simboli franchisti.

E ancora che «Il gruppo Prisa vorrebbe collaborare perché in Spagna ci fosse un partito di destra moderno, laico, con la voglia di conservare quello che c'è da conservare e trasformare quello che c'è da trasformare, lo appoggeremmo. È quello che ci manca. Già abbiamo un partito di sinistra assolutamente democratico, che funziona. Avrà avuto successi ed errori. Ma non abbiamo dall'altra parte un partito di destra del quale si possa dire: le alternanzne al potere non hanno altre conseguenze che il cambiamento del gruppo dirigente. Non con quello che sembra stiano preparando: che se questi signori recuperano il potere lo faranno con una voglia di vendetta che a me, personalmente, dà molta paura».

Certo, ci è andato giù duro, ma non ha detto nulla che non sia condiviso da molti, in Spagna, anche se non possiedono il più grande gruppo editoriale del Paese. Altri passaggi li trovate qui.

La furia del Pp ha suscitato le prime dure critiche, Anche Reporteros sin fronteras, la sezione spagnola di Rsf, ha emesso un comunicato che condanna il «ricatto» del Pp. Mentre la Giunta direttiva dell'Associazione della Stampa di Madrid (Apm) ha chiesto ai partiti «Che in nessun caso limitino l'accesso dei giornalisti all'informazione».

[foto: Il presidente del Grupo PRISA, Jesús de Polanco, durante la Junta General de Accionistas. (c) Uly Martín/El País]

lunedì 12 marzo 2007

Le vite di Agustí Centelles, fotografo

Vale solo questa di foto per dire di Agustí Centelles, che nel 1936, poco prima o poco dopo dell’inizio della rivolta militare, sorprendeva nei giochi dei bambini tutta la tragedia della guerra.

Non sparando con fucili giocattolo, non lanciando bombe d'acqua, non gridando alla carica! Solo la follia in cui sprofonda la Spagna, perfettamente espressa da un atto assolutamnete antieroico (ancora una fucilazione nell’arte spagnola).

Centelles ha fotografato la sua Barcellona, e le persone, le spiagge e le colonie, le manifestazioni operaie, il fronte e le battaglie. E i risultati di quell’innovazione nella tecnica di guerra che è il bombardamento a tappeto delle città, sperimentato per le prime volte sulle città spagnole da tedeschi e italiani (che tanto successo ha avuto dalla seconda guerra mondiale fino ai giorni nostri).
Case, scuole, piazze, spazi urbani che, lontani dalle linee, erano fin allora luoghi ragionevolmente sicuri, divennero tombe.

Dopo la vittoria dei militari fugge in Francia, dove viene internato nei campi della vergogna che accoglievano i repubblicani sconfitti, poi in Messico. Riuscedo lasciare in salvo, nascosto con astuzia, il suo archivio che i franchisti volevano distruggere, vivendo da esule fino al ritorno, vivo ancora il dittatore, nella sua Barcellona.

E ricominciando a lavorare, nella pubblicità, con campagne anche molto «pop», come quella dei Chupa Chups, il lecca lecca spagnolo che ha conquistato il mondo, da poco in mani italiane (qui una in stile reportage, ma c'è un bouquet di lecca lecca meraviglioso e coloratissimo).

La mostra è:
Centelles. Les vides d'un fotògraf, 1909-1985.
(Centelles. Le vite di un fotografo)
Fino al 19 marzo, 3,5 euri. Palau de la Virreina, La Rambla, 99.

[foto: Niños jugando a la guerra (1936), © Agustí Centelles, VEGAP, Valencia 2004, presa da Centro Virtual Cervantestes; Chupa Chups, 1976 presa dalla www.bcn.es]

venerdì 9 marzo 2007

Hammershøi e Dreyer a Barcelona

I due artisti danesi Hammershøi e Dreyer sono oggetto di una comparazione tesa a dimostrare lo stretto rapporto tra il lavoro pittorico del primo e la fotografia cinematografica del secondo, riunendo per la prima volta le loro produzione in un accostamento ragionato.

Vilhelm Hammershøi (Copenaghen, 1864–1916) e Carl Theodor Dreyer (Copenaghen, 1889–1968) rappresentano bene la Danimarca a cavallo tra i due secoli nella pittura e nel cinema.

Una mostra molto interessante della quale va segnalato il bellissimo allestimento curato da RCR Aranda Pigem Vilalta Arquitectes, con la collaborazione di Ventura-Llimona Taller d'arquitectura.

Un allestimento che diventa significato, accetta il modello luministico delle opere, estendendolo all'ambiente espositivo nel quale si trova l'osservatore, che condivide così tono luministico e direzione della luce dello spazio dell'opera.

Molto discusso dalla critica spagnola, che non ha apprezzato molto, vale la pena invece di vedere la mostra anche solo per quello.
Un assaggio in quest'immagine di Valentina Capitani


Quest'altra (stessa autrice) invece viene dalla mostra Tath's not enterteinement!, della quale abbiamo già parlato, che è ancora aperta.

domenica 11 febbraio 2007

De Juana superstar

Dopo un lungo periodo senza aggiornare riprendiamo una lettera di un ex carcerato etarra sul caso de juana, inviata alla radio Cadena Ser. «Non me ne frega un cazzo se muori», è il senso dell'intervento, sintetizzato allo stesso anonimo autore, che rammenta diversi motivi di repulsione personale e politica derivati dal comportamento passato di de Juana, sia come militante che come carcerato. Anche se in spagnolo è abbastanza comprensibile, la lettura è consigliata.

Il caso de Juana è la manna del giornalismo militante antigovernativo spagnolo.
Ma il colpaccio lo fanno gli inglesi (che, come sempre, parlano dell'Eta come gruppo indipendentista e non sia mai terrorista) con questa intervista del Time (versione inglese e spagnola) che fa tanto martire fin dal titolo: «Legato e macilento, assassino dell'Eta difende la pace dal suo letto di morte».

Le affermazioni di de Juana vanno invece in altra direzione: «Sono totalmente d'accordo col processo democratico di dialogo e negoziato per risolvere il conflitto politico tra Euskal Herria e gli stati spagnoli e francese».

Riaffermando l'esistenza di Euskal Herria, la nazione mitologica che comprenderebbe il Paese basco, la Navarra e i paesi baschi francesi e negando le uniche basi sulle quali il dialogo è possibile: cessazione della violenza, scioglimento dell'Eta, cessione delle armi, misure di reinserimento e avvicinamento di carcerato o ex carcerati dell'Eta e di rientro degli esuli o latitanti all'estero non colpevoli di fatti di sangue.

(fonte escolar.net)

venerdì 26 gennaio 2007

Il Caso Chaos

Il terrorista José Ignacio (Iñaki) De Juana Chaos resta in carcere.

La giustizia spagnola ha respinto la richiesta di concedere gli arresti domiciliari all'irriducibile dell'ETA che è in sciopero della fame dal 7 novembre, ha perso 37 chili e, secondo i medici che si preparano ad alimentarlo a forza, è in condizioni critiche.

Una vicenda complessa che ha spaccato la magistratura.
L’iniziativa di nove giudici dell’Audiencia Naciónal ha fatto sì che la decisione non venisse presa dal tribunale che aveva giudicato e condannato Chaos ma dalla Sala de lo Penal, composta da 17 magistrati, 14 dei quali hanno votato contro la concessione dei domiciliari.

Ma qual’è la storia di De Juana Chaos?
È quella di un ex poliziotto basco divenuto terrorista dell’Eta e condannato a oltre 2500 anni di carcere per 18 sanguinosi omicidi e altri gravi reati, la cui personalità è stata giudicata dai periti pericolosa e ossessiva.

Per il codice penale franchista del 1973, sulla base del quale avvenne il primo processo, il limite di pena era di 30 anni, divenuti 40 per reati di terrorismo con la riforma del ’95, vigente quando si tennero i successivi due. Periodo sul quale si calcolano sconti di pena e benefici.
In conformità alle leggi, dopo 18 anni di reclusione, Chaos aveva scontato il suo debito con la giustizia.

Alla vigilia della sua scarcerazione un’aspra campagna di stampa ha promosso una discutibile ricerca di escamotage legali che impedissero il suo ritorno alla libertà. Trovati in due sue articoli pubblicati sul quotidiano Gara nei quali, denunciando le condizioni dei membri dell’Eta in carcere, pronunciava quelle che sono state considerate minacce contro il personale carcerario. In un nuovo procedimento de Juana Chaos venne condannato a 12 anni in primo grado.

Assieme alla richiesta dei domiciliari, l’etarra ha iniziato lo sciopero della fame, in seguito al quale, viste le condizioni di salute, il pubblico ministero ne ha chiesto la concessione. Ma il voto dei giudici della Audiencia Naciónal ha interrotto questo percorso.

Questi i fatti: un terrorista assassino che ha saldato il suo debito con la giustizia e che è stato condannato nuovamente per un reato non materiale ma di opinione, non ancora in via definitiva; dei giudici che anziché affrontare in punto di legge la vicenda la politicizzano. Sullo sfondo, la guerra senza quartiere del Pp e dei media di destra al tentativo di dialogo tra governo e Eta, interrotto dopo la bomba di Barajas ma ancora presente, sottotraccia, nella società e nella politica spagnola.

giovedì 25 gennaio 2007

Zapatero. Un socialismo gentile

Dal 26 gennaio è nelle librerie Zapatero. Un socialismo gentile, di Ettore Siniscalchi (l'autore di questo blog), prefazione di Walter Veltroni, edito da manifestolibri, pp. 272, euro 22,00.

Nel libro racconto le vicende recenti della politica spagnola tentando di inserirle nel quadro alle quali appartengono, restituirle al contesto, anche storico, che le determina.

In Italia c'è curiosità e attenzione riguardo all'esperienza spagnola, ma il pubblico non è aiutato dall'informazione, né dalla politica.
I media, inseguendo il "fenomeno Zapatero", riportano molte notizie, molte più di prima, slegate però dal loro sfondo. Non aiutando così a capire quale senso abbiano per la società spagnola.
La politica fa peggio, utilizzando le vicende spagnole per motivi strumentali al dibattito politico interno.

Si determina, quindi, un curioso fenomeno: quello dei "zapateristi" e degli "antizapateristi". Nel quale l'esperienza politica in atto viene ridotta a una premessa, anzi a due premesse opposte: «Bisogna fare come Zapatero!» o «Noi non faremo come Zapatero!».

Questo libro affronta quindi alcuni temi importanti per la società spagnola e approfondisce vicende che hanno avuto molta risonanza e fatto discutere. Ma vuole anche essere il tentativo di fornire degli strumenti che consentano al lettore di farsi una propria idea su quello che succede nella Spagna di oggi. Un tentativo che rappresenta anche la possibilità di uscire dai ritmi veloci dell'informazione e prendersi un respiro maggiore, dal quale guardare meglio le cose.

Di seguito un'anticipazione dalla prefazione di Walter Veltroni.

La radicalità di Zapatero è nei principi, nel profondo senso etico che anima le concrete scelte politiche e di governo, nella ostinata ricerca di essere coerente con gli impegni presi di fronte agli elettori e di non deludere le loro aspettative: “mantenere la parola data, fare quel che si dice e dire quel che si farà”. Zapatero non è un dogmatico, è lontano da ogni tipo di ortodossia e chiusura ideologica, ama citare John Rawls e Norberto Bobbio, ha una spiccata predisposizione al confronto. Una delle chiavi della sua azione di governo è proprio il ”talante”, e cioè la disponibilità verso gli altri e al dialogo, l’assenza di ogni presunzione di possedere la verità, la capacità di ascolto per cercare poi la sintesi dei diversi interessi, e questo senza che nulla venga tolto alla determinazione con cui vengono portate avanti le scelte di fondo in campo economico e sociale, o forse è meglio dire sociale ed economico, vista la centralità assegnata alla società civile, ai diritti, all’idea di una democrazia che si potrebbe dire partecipata e “integrale”.
Sono scelte, quelle di Zapatero, dettate da una visione che unisce riformismo e radicalità, se è vero che il suo “socialismo dei cittadini” si basa sull’unione di grandi temi ideali coniugati, come scrive lo stesso Siniscalchi, con “l’accettazione dell’economia liberale, la globalizzazione, l’accento sui diritti individuali al posto di quelli collettivi o di classe”. Le sue riforme vengono da qui, e da qui vengono molti dei risultati raggiunti in questi anni, dal via libera decisivo dato alla Costituzione europea bloccata da Aznar alle scelte molto avanzate di politica sociale a protezione delle fasce deboli della popolazione spagnola, dalla decisione di formare un governo con una componente femminile del cinquanta per cento alla risposta legislativa al problema della violenza domestica contro le donne, fino ai passi importanti compiuti a proposito di una questione delicata come lo Statuto catalano e ancor più nella lotta per disarmare il terrorismo basco.

mercoledì 24 gennaio 2007

El Mundo contro Bardem


È bravo, bello, ha successo e non si tira indietro se vuole dire come la pensa. E, siccome è di sinistra, El Mundo non gliene perdona una.



Javier Bardem è il bravo attore che tutti conosciamo. Viene da una famiglia che calca le scene spagnole da tre generazioni. Suo nonno, Rafael Bardem, era un grande attore di teatro e cinema, come la nonna, Matilde Muñoz Sampedro. Sua madre, Pilar Bardem, è un’artista amata e appassionata. Recitano anche i suoi fratelli, Mónica e Carlos. Lo zio, Juan Antonio Bardem, è stato uno dei più grandi registi spagnoli, il cugino Miguel prova a seguire la stessa strada.

In Spagna i personaggi pubblici non sono come da noi: parlano, esprimono le loro opinioni, non hanno paura di prendere posizioni pubbliche, anche in politica - pare quasi l’Italia di trenta anni fa.

E Bardem meno di tutti. Schietto, provocatore e convinto delle sue idee, non si tira indietro quando vuole dire la sua, anche su feticci nazionali come il calcio o la corrida.


Fece clamore la sua presa di posizione contro la guerra dell’Iraq e il governo Aznar, mentre riceveva il premio Goya 2003 come miglior attore per Los lunes al sol. «Voglio ricordare che vincere delle elezioni non è un assegno in bianco per fare quello vogliono e noi siamo una maggioranza che dice no alla guerra», disse in diretta tv, ricevendo gli applausi dei rappresentanti del cinema spagnolo.

Insomma, il perfetto progre - diminutivo di progressista, epiteto sprezzante con cui la destra chiama quelli di sinistra – e quindi oggetto di vari attacchi da El Mundo, che aspira a diventare il quotidiano della destra spagnola.


L’ultimo è arrivato da una delle firme di punta del giornale, l’editorialista Carmen Rigalt, che il 21 gennaio, in un articolo sul clima di scontro politico che si respira in Spagna - la crispación, della quale il suo giornale è uno dei maggiori fomentatori mediatici - ha raccontato che Bardem, recatosi al famoso ristorante madrileno Casa Lucio, sarebbe stato oggetto di contestazioni da parte di avventori e camerieri, tanto da dover abbandonare il locale.

Sobrio e tagliente il «chiarimento» che Bardem ha fatto pubblicare nella rubrica delle lettere.

«Signor direttore», scrive l'attore. «L’articolo di Carmen Rigalt pubblicato domenica scorsa, oltre che falso - in quanto parla di qualcosa che non è assolutamente accaduta – credo contribuisca a alimentare quella tensione sociale che in teoria, solo in teoria, sembra voler criticare.
L’articolo è un triste esempio di un certo giornalismo carente di veridicità, che serve unicamente a alimentare un’immagine di scontro nella cittadinanza quando, fortunatamente, la situazione è molto più normale di quanto questo esercizio di crispación-fiction inventa.
Sfortunatamente, da molto tempo non vado a degustare il delizioso menù di Casa Lucio ma, ogni volta che sono andato, tanto il personale come lo stesso Don Lucio hanno dimostrato che l’accoglienza dei commensali, umana e calorosa, è all’altezza dell’eccellenza dei suoi piatti. E la sua variegata clientela gode del piacere di sentirsi come a casa propria».

Direte che non si tratta di una notizia imprescindibile, ma l'occasione di pubblicare un po' di foto di Bardem non va fatta sfuggire. Qualcuno può lamentarsi?

giovedì 18 gennaio 2007

La morte dignitosa di Madeleine Z.

Una donna di 69 anni affetta da sclerosi laterale amiotrofica, di origine francese ma residente da anni in Spagna, ha volontariamente posto fine alla sua vita il 12 gennaio, prima che la malattia la paralizzasse completamente. Il governo viene accusato di non compiere i suoi impegni elettorali riguardo all'eutanasia.


Madeleine aveva reso pubblica la sua decisione da tempo, con l’intenzione di rilanciare nuovamente il dibattito sul suicidio assistito, per stimolare un «cambiamento culturale».
Per questo aveva pensato di «fare una festa» d'addio, ma si era ricreduta: «Non si può spiegarlo a chiunque, la gente non capisce. La morte è mia, mi appartiene».
«Voglio smettere di non vivere, questa non è la vita», aveva detto alla stampa per spiegare la sua decisione.

Per la Spagna si tratta di un nuovo Caso Sampedro.
Ramón Sampedro, tetraplegico da quando aveva 25 anni, si suicidò 55enne nel 1998, dopo una inutile battaglia legale per ottenere assistenza medica e il riconoscimento della sua decisione. La vicenda venne portata sullo schermo nel bel film Mar adentro di Alejandro Amenábar, Oscar 2005 come miglior film straniero, splendidamente interpretato da Javier Bardem.

La vicenda riacutizza una polemica politica tra il governo Zapatero e i partiti che lo appoggiano in Parlamento.

Il programma elettorale del Psoe riportava: «Eutanasia. Promuoveremo una commissione nel Congresso dei deputati che consenta di dibattere il diritto all’eutanasia e alla morte degna, gli aspetti relativi alla sua depenalizzazione e il diritto a ricevere cure palliative». Tre anni dopo la commissione non esiste e Izquierda unida e Esquerra republicana de Catalunia hanno più volte sollecitato il governo a vararla.

Per i socialisti, però, il tema non ha sufficiente appoggio sociale per essere trattato. Malgrado le inchieste di opinione registrino come una maggioranza che varia dal 65 al 75% sia favorevole alla "morte dignitosa" e consideri necessaria una sua regolamentazione.
Zapatero, evidentemente, non intende aprire ora un nuovo fronte con la chiesa spagnola e precludersi l'appoggio dei cattolici nazionalisti catalani di Convergencia i Uniò.


«Sono in una nuvola, ma contenta... Davvero, me ne vado poco per volta. Sto molto bene».
Queste le ultime parole di Madeleine Z., riferite dai volontari della Associazione per il Diritto a una morte dignitosa che le sono stati vicini fino alla fine.


[Foto tratte da El País]

mercoledì 17 gennaio 2007

¿De acuerdo? ¡Nada de nada!

Anche la revisione al rialzo del patto antiterrorismo sfocia in un nulla di fatto, sotto il fuoco incrociato di Pnv e Pp.

Non è andato lontano il rilancio di Zapatero, a seguito della bomba dell'Eta che, assieme alle vite di Diego Armando Estacio e Carlos Antonio Palate e al parcheggio del Terminal 4 dell'aeroporto di Barajas, ha distrutto anche il tentativo di dialogo.

Non c'era del resto da aspettarsi soluzioni diverse: il Pp non aveva nessuna intenzione di cambiare le sue posizioni e accettare un nuovo patto voleva dire abbandonare il vecchio, che rappresentava la sponda istituzionale di un comportamento politico che di istituzionale ha ben poco; né il Psoe aveva fatto nulla per costruire realmente le condizioni per proporre un nuovo patto ai partiti politici spagnoli.

Quello che colpisce, semmai, è che Pnv e Pp non abbiano rinunciato a giocare il loro ruolo da "battitori liberi". In particolare i nazionalisti cattolici baschi, che hanno posto condizioni campate in aria, come la revoca della Ley de partidos, levando dalle spalle del Pp il peso di essere l'unico partito a impedire l'accordo.

Le dinamiche basche hanno percorsi propri. La bomba del T4 fa esplodere le contraddizioni anche in seno a Batasuna, il partito della sinistra indipendentista messo fuori legge dalla Ley del partidos perché ritenuto braccio politico dell'Eta.
Otegi, il leader di Batsuna (ma è ancora così?), non ha condannato l'attentato, cancellando la possibilità di un ritorno alla legalità del partito per le prossime amministrative basche. Il Pnv, che negli utlimi anni ha accentuato il suo indipendentismo anche per pescare voti nel serbatoio della sinistra radicale che non ha più un referente elettorale, vuole continuare su questa strada e quindi propone di abbandonare tout court la Ley, tanto non se ne fa nulla, strizzando l'occhio agli elettori penalizzati dalla legge.
Elettori che si sono espressi nel voto al Partito comunista delle terre basche, formazione che si presenta da anni ma che ha sfondato nelle utlime amministrative proponendosi come espressione dell'elettorato di Batasuna, e della quale, dal canto suo, il Pp ha chiesto la messa fuori legge come condizione per discutere il nuovo patto. Altra richiesta irricevibile.

Malgrado zapatero abbia lanciato il nuovo patto solo come mossa difensiva - buttandolo in faccia al Pp, con mossa tardiva e un po' indispettita, più che facendo una proposta concreta - il problema principale della democrazia spagnola davanti all'Eta risiede proprio nella mancata unità delle forze democratiche davanti al terrorismo e al radicalismo politico indipendentista, come il tentativo di dialogo di Zapatero ha dimostrato.
Senza unità non si dialoga con un gruppo terrorista separatista. Nessun governo è in grado di sostenere una trattativa con il maggiore partito dell'opposizione contro.

Il patto antiterrorismo è effettivamente morto. Perché non adeguato ai tempi. Il testo esclude qualsiasi dialogo con l'Eta, e già questo basta per renderlo inattuale. Ma è superato perché discende da un periodo politico concluso: aveva un senso nel 2000, quando esprimeva il patto tra i partiti "costituzionalisti" (Pp e Psoe), funzionale alla costruzione di un rifiuto di massa del terrorismo nel Paese basco, all'isolamento delle posizioni indipendentiste e alla risposta alla tattica del Pnv, pronto a accelerare sulle sue posizioni indipendentiste per consolidare il suo potere. Ora non l'ha più.

Adesso, per andare avanti, occorrerebbe un nuovo patto tra tutti i partiti che rifiutano la violenza come strumento politico e riconoscono la Costituzione.
Oppure, meglio, nessun patto.
Piuttosto che questo Patto ormai continuamente tradito e inadeguato ai tempi, cui si aggrappa ormai solo il Pp per nobilitare le sue posizioni, meglio che i partiti siano responsabili nel parlamento e nelle urne delle proprie scelte.

martedì 16 gennaio 2007

Tra Zapatero e Rajoy nessuna distensione

Zapatero ha riferito alle Cortes sulla rottura del cessate il fuoco da parte dell’Eta.









Già di per sé si è trattato di evento irrituale: per la prima volta il presidente del governo viene chiamato a rendere conto davanti al parlamento della sua politica sul terrorismo - il che dà la misura della collaborazione istituzionale tra maggioranza e opposizione. In più, la giornata parlamentare ha sancito la definitiva rottura tra Pp e Psoe.

Nel suo intervento Zapatero ha espresso le condoglianze per le vittime; si è scusato per l’ottimismo manifestato nel discorso del 29 dicembre (stiamo meglio di un anno fa e tra un anno staremo meglio, disse a proposito del Processo di pace e il giorno dopo avvenne l’attentato); ha sottolineato di aver agito rispettando la legge e il mandato espressogli dal parlamento; ha dato all’Eta tutta la responsabilità della rottura del processo di pace; ha proposto un nuovo patto antiterriorismo, allargato a tutti i partiti democratici.
Qualche abilità oratoria, come la ripetizione quasi letterale di alcune frasi prese dal discorso di Aznar in occasione della rottura della tregua del ’98; qualche frecciatina al Pp che non ha dato il suo appoggio.
Non ha però detto gran che su quali basi poggerebbe un nuovo eventuale patto, anche se ha aperto esplicitamente al Pnv.

Dal canto suo Rajoy non ha recesso di un millimetro, anzi.
Nessuna trattativa con l’Eta è possibile; il governo è stato imprudente, frivolo, irresponsabile; quale affidabilità possono avere le proposte che vengono da Zapatero, le sue analisi? Poi ha messo nero su bianco ciò che il Pp aveva solo insinuato finora, ma che ha guidato il partito in questi mesi: «Se non compie quello che chiedono i terroristi, metteranno le bombe; se non ci sono bombe è perché ha ceduto».

Durante le repliche le accuse reciproche si sono fatte anche più dure e alla fine, malgrado l’appoggio di tutti gli altri gruppi alla politica del governo, la frattura resta intatta. Né la disponibilità di Rajoy a partecipare agli incontri nei quali verrà proposto il nuovo patto antiterrorista, inverte la corrente: sulle basi di questo scontro politico nessun accordo è possibile.

Quello che Zapatero non ha detto è che la lezione da trarre è che nessuna trattativa coll'Eta può essere iniziata in mancanza di un accordo tra i due maggiori partiti.
Avrebbe voluto dire delegittimare il percorso portato avanti finora, nella convinzione che il Pp si sarebbe prima o poi aggregato al processo: andare avanti, aspettando il momento.

Con l'Eta come interlocutore, questo non è possibile.

[foto (efe da El Mundo: 1) Mariano Rajoy; 2) J.L. Rodriguez Zapatero; 3) Acebes e Rajoy ascoltano Zapatero; 4) Zapatero ascolta Rajoy]