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giovedì 17 maggio 2007

2000 anni di carcere per l'anestesita


Tra il 1988 e il 1998 in diversi ospedali di Valencia 275 persone vennero contagiate dal virus dell'epatite C. Quattro di loro morirono (anzi cinque: l'ultima, morta poche ore prima della sentenza, non rientra nel conteggio ufficiale).
Il più grande contagio di massa di epatite C mai avvenuto al mondo.




Juan Maeso era anestesita in diversi centri sanitari pubblici e privati valenziani. Un luminare, vizioso, però. Con un debole per gli oppiacei e affini.
Il medico soddisfava la sua tossicodipendenza iniettandosi una parte degli anestetici prima di somministrarli ai pazienti: il primo schizzetto per lui, poi la siringa iniettava il farmaco nella flebo del paziente. Diffondendo così il contagio.

Maeso era un luminare dell'anestesiologia spagnola, il primo della capitale del País valenciano, il rinomato professionista al quale per primi si rivolgevano i colleghi medici quando loro, un parente o un amico dovevano sottoporsi a un'anestesia totale.

A 56 anni era capo del Servizio di anestesia e rianimazione dell'Hospital maternal de la Fe di Valencia (45 contagiati). Prestava servizio anche nella sanità privata, in particolare nella clinica Casa de la Salud (228 contagiati), e dall'87 al '97 fece parte della Commissione creata dalla Generalitat valenciana per combattere le liste d'attesa dei pazienti pubblici nei centri privati convenzionati.

Un medico prestigioso e ammirato e una figura autorevole dell'élite valenziana. Oltre che un tipo originale che girava per la città su una potente moto e passava le vacanze facendo spedizioni in fuoristrada nei deserti africani.
Del suo debole per gli oppiacei pare si parlasse in giro ma, si sa, il profumo del vincitore inebria chi è vicino. E Maeso vincitore lo era: potente, ben introdotto, ricco.


Ogni contagiato vale per il luminare sette anni di carcere, nove ognuno dei quattro deceduti. In totale 1.933 anni di carcere ma ne compirà non più di 22, il massimo della pena prevista dall'ordinamento spagnolo.



Le vittime verranno indennizzate con cifre tra i 60 mila e i 120 mila euri, a seconda della gravità del contagio, 150 mila per i deceduti. A carico della sanità valenziana, responsabile delle pratiche sia degli ospedali pubblici che della sanità privata convenzionata.

Non tutte le vittime avranno il giusto indennizzo, per quanto il denaro possa ripagare la salute perduta.

L'ordinamento spagnolo non prevede che le indennizzazioni si possano adeguare ai peggioramenti dello state di salute: chi all'inizio del processo aveva un'epatite lieve asintomatica per quella verrà indennizzata, anche se nel frattempo ha maturato un'afflizione epatica grave.

Un vuoto che governo e parlamento dovranno riempire.

[fonte e grafico El País]

domenica 11 febbraio 2007

De Juana superstar

Dopo un lungo periodo senza aggiornare riprendiamo una lettera di un ex carcerato etarra sul caso de juana, inviata alla radio Cadena Ser. «Non me ne frega un cazzo se muori», è il senso dell'intervento, sintetizzato allo stesso anonimo autore, che rammenta diversi motivi di repulsione personale e politica derivati dal comportamento passato di de Juana, sia come militante che come carcerato. Anche se in spagnolo è abbastanza comprensibile, la lettura è consigliata.

Il caso de Juana è la manna del giornalismo militante antigovernativo spagnolo.
Ma il colpaccio lo fanno gli inglesi (che, come sempre, parlano dell'Eta come gruppo indipendentista e non sia mai terrorista) con questa intervista del Time (versione inglese e spagnola) che fa tanto martire fin dal titolo: «Legato e macilento, assassino dell'Eta difende la pace dal suo letto di morte».

Le affermazioni di de Juana vanno invece in altra direzione: «Sono totalmente d'accordo col processo democratico di dialogo e negoziato per risolvere il conflitto politico tra Euskal Herria e gli stati spagnoli e francese».

Riaffermando l'esistenza di Euskal Herria, la nazione mitologica che comprenderebbe il Paese basco, la Navarra e i paesi baschi francesi e negando le uniche basi sulle quali il dialogo è possibile: cessazione della violenza, scioglimento dell'Eta, cessione delle armi, misure di reinserimento e avvicinamento di carcerato o ex carcerati dell'Eta e di rientro degli esuli o latitanti all'estero non colpevoli di fatti di sangue.

(fonte escolar.net)

venerdì 26 gennaio 2007

Il Caso Chaos

Il terrorista José Ignacio (Iñaki) De Juana Chaos resta in carcere.

La giustizia spagnola ha respinto la richiesta di concedere gli arresti domiciliari all'irriducibile dell'ETA che è in sciopero della fame dal 7 novembre, ha perso 37 chili e, secondo i medici che si preparano ad alimentarlo a forza, è in condizioni critiche.

Una vicenda complessa che ha spaccato la magistratura.
L’iniziativa di nove giudici dell’Audiencia Naciónal ha fatto sì che la decisione non venisse presa dal tribunale che aveva giudicato e condannato Chaos ma dalla Sala de lo Penal, composta da 17 magistrati, 14 dei quali hanno votato contro la concessione dei domiciliari.

Ma qual’è la storia di De Juana Chaos?
È quella di un ex poliziotto basco divenuto terrorista dell’Eta e condannato a oltre 2500 anni di carcere per 18 sanguinosi omicidi e altri gravi reati, la cui personalità è stata giudicata dai periti pericolosa e ossessiva.

Per il codice penale franchista del 1973, sulla base del quale avvenne il primo processo, il limite di pena era di 30 anni, divenuti 40 per reati di terrorismo con la riforma del ’95, vigente quando si tennero i successivi due. Periodo sul quale si calcolano sconti di pena e benefici.
In conformità alle leggi, dopo 18 anni di reclusione, Chaos aveva scontato il suo debito con la giustizia.

Alla vigilia della sua scarcerazione un’aspra campagna di stampa ha promosso una discutibile ricerca di escamotage legali che impedissero il suo ritorno alla libertà. Trovati in due sue articoli pubblicati sul quotidiano Gara nei quali, denunciando le condizioni dei membri dell’Eta in carcere, pronunciava quelle che sono state considerate minacce contro il personale carcerario. In un nuovo procedimento de Juana Chaos venne condannato a 12 anni in primo grado.

Assieme alla richiesta dei domiciliari, l’etarra ha iniziato lo sciopero della fame, in seguito al quale, viste le condizioni di salute, il pubblico ministero ne ha chiesto la concessione. Ma il voto dei giudici della Audiencia Naciónal ha interrotto questo percorso.

Questi i fatti: un terrorista assassino che ha saldato il suo debito con la giustizia e che è stato condannato nuovamente per un reato non materiale ma di opinione, non ancora in via definitiva; dei giudici che anziché affrontare in punto di legge la vicenda la politicizzano. Sullo sfondo, la guerra senza quartiere del Pp e dei media di destra al tentativo di dialogo tra governo e Eta, interrotto dopo la bomba di Barajas ma ancora presente, sottotraccia, nella società e nella politica spagnola.