Il terrorista José Ignacio (Iñaki) De Juana Chaos resta in carcere.
La giustizia spagnola ha respinto la richiesta di concedere gli arresti domiciliari all'irriducibile dell'ETA che è in sciopero della fame dal 7 novembre, ha perso 37 chili e, secondo i medici che si preparano ad alimentarlo a forza, è in condizioni critiche.
Una vicenda complessa che ha spaccato la magistratura.
L’iniziativa di nove giudici dell’Audiencia Naciónal ha fatto sì che la decisione non venisse presa dal tribunale che aveva giudicato e condannato Chaos ma dalla Sala de lo Penal, composta da 17 magistrati, 14 dei quali hanno votato contro la concessione dei domiciliari.
Ma qual’è la storia di De Juana Chaos?
È quella di un ex poliziotto basco divenuto terrorista dell’Eta e condannato a oltre 2500 anni di carcere per 18 sanguinosi omicidi e altri gravi reati, la cui personalità è stata giudicata dai periti pericolosa e ossessiva.
Per il codice penale franchista del 1973, sulla base del quale avvenne il primo processo, il limite di pena era di 30 anni, divenuti 40 per reati di terrorismo con la riforma del ’95, vigente quando si tennero i successivi due. Periodo sul quale si calcolano sconti di pena e benefici.
In conformità alle leggi, dopo 18 anni di reclusione, Chaos aveva scontato il suo debito con la giustizia.
Alla vigilia della sua scarcerazione un’aspra campagna di stampa ha promosso una discutibile ricerca di escamotage legali che impedissero il suo ritorno alla libertà. Trovati in due sue articoli pubblicati sul quotidiano Gara nei quali, denunciando le condizioni dei membri dell’Eta in carcere, pronunciava quelle che sono state considerate minacce contro il personale carcerario. In un nuovo procedimento de Juana Chaos venne condannato a 12 anni in primo grado.
Assieme alla richiesta dei domiciliari, l’etarra ha iniziato lo sciopero della fame, in seguito al quale, viste le condizioni di salute, il pubblico ministero ne ha chiesto la concessione. Ma il voto dei giudici della Audiencia Naciónal ha interrotto questo percorso.
Questi i fatti: un terrorista assassino che ha saldato il suo debito con la giustizia e che è stato condannato nuovamente per un reato non materiale ma di opinione, non ancora in via definitiva; dei giudici che anziché affrontare in punto di legge la vicenda la politicizzano. Sullo sfondo, la guerra senza quartiere del Pp e dei media di destra al tentativo di dialogo tra governo e Eta, interrotto dopo la bomba di Barajas ma ancora presente, sottotraccia, nella società e nella politica spagnola.
venerdì 26 gennaio 2007
giovedì 25 gennaio 2007
Zapatero. Un socialismo gentile
Dal 26 gennaio è nelle librerie Zapatero. Un socialismo gentile, di Ettore Siniscalchi (l'autore di questo blog), prefazione di Walter Veltroni, edito da manifestolibri, pp. 272, euro 22,00.
Nel libro racconto le vicende recenti della politica spagnola tentando di inserirle nel quadro alle quali appartengono, restituirle al contesto, anche storico, che le determina.
In Italia c'è curiosità e attenzione riguardo all'esperienza spagnola, ma il pubblico non è aiutato dall'informazione, né dalla politica.
I media, inseguendo il "fenomeno Zapatero", riportano molte notizie, molte più di prima, slegate però dal loro sfondo. Non aiutando così a capire quale senso abbiano per la società spagnola.
La politica fa peggio, utilizzando le vicende spagnole per motivi strumentali al dibattito politico interno.
Si determina, quindi, un curioso fenomeno: quello dei "zapateristi" e degli "antizapateristi". Nel quale l'esperienza politica in atto viene ridotta a una premessa, anzi a due premesse opposte: «Bisogna fare come Zapatero!» o «Noi non faremo come Zapatero!».
Questo libro affronta quindi alcuni temi importanti per la società spagnola e approfondisce vicende che hanno avuto molta risonanza e fatto discutere. Ma vuole anche essere il tentativo di fornire degli strumenti che consentano al lettore di farsi una propria idea su quello che succede nella Spagna di oggi. Un tentativo che rappresenta anche la possibilità di uscire dai ritmi veloci dell'informazione e prendersi un respiro maggiore, dal quale guardare meglio le cose.
Di seguito un'anticipazione dalla prefazione di Walter Veltroni.
La radicalità di Zapatero è nei principi, nel profondo senso etico che anima le concrete scelte politiche e di governo, nella ostinata ricerca di essere coerente con gli impegni presi di fronte agli elettori e di non deludere le loro aspettative: “mantenere la parola data, fare quel che si dice e dire quel che si farà”. Zapatero non è un dogmatico, è lontano da ogni tipo di ortodossia e chiusura ideologica, ama citare John Rawls e Norberto Bobbio, ha una spiccata predisposizione al confronto. Una delle chiavi della sua azione di governo è proprio il ”talante”, e cioè la disponibilità verso gli altri e al dialogo, l’assenza di ogni presunzione di possedere la verità, la capacità di ascolto per cercare poi la sintesi dei diversi interessi, e questo senza che nulla venga tolto alla determinazione con cui vengono portate avanti le scelte di fondo in campo economico e sociale, o forse è meglio dire sociale ed economico, vista la centralità assegnata alla società civile, ai diritti, all’idea di una democrazia che si potrebbe dire partecipata e “integrale”.
Sono scelte, quelle di Zapatero, dettate da una visione che unisce riformismo e radicalità, se è vero che il suo “socialismo dei cittadini” si basa sull’unione di grandi temi ideali coniugati, come scrive lo stesso Siniscalchi, con “l’accettazione dell’economia liberale, la globalizzazione, l’accento sui diritti individuali al posto di quelli collettivi o di classe”. Le sue riforme vengono da qui, e da qui vengono molti dei risultati raggiunti in questi anni, dal via libera decisivo dato alla Costituzione europea bloccata da Aznar alle scelte molto avanzate di politica sociale a protezione delle fasce deboli della popolazione spagnola, dalla decisione di formare un governo con una componente femminile del cinquanta per cento alla risposta legislativa al problema della violenza domestica contro le donne, fino ai passi importanti compiuti a proposito di una questione delicata come lo Statuto catalano e ancor più nella lotta per disarmare il terrorismo basco.
Nel libro racconto le vicende recenti della politica spagnola tentando di inserirle nel quadro alle quali appartengono, restituirle al contesto, anche storico, che le determina.
In Italia c'è curiosità e attenzione riguardo all'esperienza spagnola, ma il pubblico non è aiutato dall'informazione, né dalla politica.
I media, inseguendo il "fenomeno Zapatero", riportano molte notizie, molte più di prima, slegate però dal loro sfondo. Non aiutando così a capire quale senso abbiano per la società spagnola.
La politica fa peggio, utilizzando le vicende spagnole per motivi strumentali al dibattito politico interno.
Si determina, quindi, un curioso fenomeno: quello dei "zapateristi" e degli "antizapateristi". Nel quale l'esperienza politica in atto viene ridotta a una premessa, anzi a due premesse opposte: «Bisogna fare come Zapatero!» o «Noi non faremo come Zapatero!».
Questo libro affronta quindi alcuni temi importanti per la società spagnola e approfondisce vicende che hanno avuto molta risonanza e fatto discutere. Ma vuole anche essere il tentativo di fornire degli strumenti che consentano al lettore di farsi una propria idea su quello che succede nella Spagna di oggi. Un tentativo che rappresenta anche la possibilità di uscire dai ritmi veloci dell'informazione e prendersi un respiro maggiore, dal quale guardare meglio le cose.
Di seguito un'anticipazione dalla prefazione di Walter Veltroni.
La radicalità di Zapatero è nei principi, nel profondo senso etico che anima le concrete scelte politiche e di governo, nella ostinata ricerca di essere coerente con gli impegni presi di fronte agli elettori e di non deludere le loro aspettative: “mantenere la parola data, fare quel che si dice e dire quel che si farà”. Zapatero non è un dogmatico, è lontano da ogni tipo di ortodossia e chiusura ideologica, ama citare John Rawls e Norberto Bobbio, ha una spiccata predisposizione al confronto. Una delle chiavi della sua azione di governo è proprio il ”talante”, e cioè la disponibilità verso gli altri e al dialogo, l’assenza di ogni presunzione di possedere la verità, la capacità di ascolto per cercare poi la sintesi dei diversi interessi, e questo senza che nulla venga tolto alla determinazione con cui vengono portate avanti le scelte di fondo in campo economico e sociale, o forse è meglio dire sociale ed economico, vista la centralità assegnata alla società civile, ai diritti, all’idea di una democrazia che si potrebbe dire partecipata e “integrale”.
Sono scelte, quelle di Zapatero, dettate da una visione che unisce riformismo e radicalità, se è vero che il suo “socialismo dei cittadini” si basa sull’unione di grandi temi ideali coniugati, come scrive lo stesso Siniscalchi, con “l’accettazione dell’economia liberale, la globalizzazione, l’accento sui diritti individuali al posto di quelli collettivi o di classe”. Le sue riforme vengono da qui, e da qui vengono molti dei risultati raggiunti in questi anni, dal via libera decisivo dato alla Costituzione europea bloccata da Aznar alle scelte molto avanzate di politica sociale a protezione delle fasce deboli della popolazione spagnola, dalla decisione di formare un governo con una componente femminile del cinquanta per cento alla risposta legislativa al problema della violenza domestica contro le donne, fino ai passi importanti compiuti a proposito di una questione delicata come lo Statuto catalano e ancor più nella lotta per disarmare il terrorismo basco.
mercoledì 24 gennaio 2007
El Mundo contro Bardem
È bravo, bello, ha successo e non si tira indietro se vuole dire come la pensa. E, siccome è di sinistra, El Mundo non gliene perdona una.
Javier Bardem è il bravo attore che tutti conosciamo. Viene da una famiglia che calca le scene spagnole da tre generazioni. Suo nonno, Rafael Bardem, era un grande attore di teatro e cinema, come la nonna, Matilde Muñoz Sampedro. Sua madre, Pilar Bardem, è un’artista amata e appassionata. Recitano anche i suoi fratelli, Mónica e Carlos. Lo zio, Juan Antonio Bardem, è stato uno dei più grandi registi spagnoli, il cugino Miguel prova a seguire la stessa strada.
In Spagna i personaggi pubblici non sono come da noi: parlano, esprimono le loro opinioni, non hanno paura di prendere posizioni pubbliche, anche in politica - pare quasi l’Italia di trenta anni fa.
E Bardem meno di tutti. Schietto, provocatore e convinto delle sue idee, non si tira indietro quando vuole dire la sua, anche su feticci nazionali come il calcio o la corrida.
Fece clamore la sua presa di posizione contro la guerra dell’Iraq e il governo Aznar, mentre riceveva il premio Goya 2003 come miglior attore per Los lunes al sol. «Voglio ricordare che vincere delle elezioni non è un assegno in bianco per fare quello vogliono e noi siamo una maggioranza che dice no alla guerra», disse in diretta tv, ricevendo gli applausi dei rappresentanti del cinema spagnolo.
Insomma, il perfetto progre - diminutivo di progressista, epiteto sprezzante con cui la destra chiama quelli di sinistra – e quindi oggetto di vari attacchi da El Mundo, che aspira a diventare il quotidiano della destra spagnola.
L’ultimo è arrivato da una delle firme di punta del giornale, l’editorialista Carmen Rigalt, che il 21 gennaio, in un articolo sul clima di scontro politico che si respira in Spagna - la crispación, della quale il suo giornale è uno dei maggiori fomentatori mediatici - ha raccontato che Bardem, recatosi al famoso ristorante madrileno Casa Lucio, sarebbe stato oggetto di contestazioni da parte di avventori e camerieri, tanto da dover abbandonare il locale.
Sobrio e tagliente il «chiarimento» che Bardem ha fatto pubblicare nella rubrica delle lettere.
«Signor direttore», scrive l'attore. «L’articolo di Carmen Rigalt pubblicato domenica scorsa, oltre che falso - in quanto parla di qualcosa che non è assolutamente accaduta – credo contribuisca a alimentare quella tensione sociale che in teoria, solo in teoria, sembra voler criticare.
L’articolo è un triste esempio di un certo giornalismo carente di veridicità, che serve unicamente a alimentare un’immagine di scontro nella cittadinanza quando, fortunatamente, la situazione è molto più normale di quanto questo esercizio di crispación-fiction inventa.
Sfortunatamente, da molto tempo non vado a degustare il delizioso menù di Casa Lucio ma, ogni volta che sono andato, tanto il personale come lo stesso Don Lucio hanno dimostrato che l’accoglienza dei commensali, umana e calorosa, è all’altezza dell’eccellenza dei suoi piatti. E la sua variegata clientela gode del piacere di sentirsi come a casa propria».
Direte che non si tratta di una notizia imprescindibile, ma l'occasione di pubblicare un po' di foto di Bardem non va fatta sfuggire. Qualcuno può lamentarsi?
giovedì 18 gennaio 2007
La morte dignitosa di Madeleine Z.
Una donna di 69 anni affetta da sclerosi laterale amiotrofica, di origine francese ma residente da anni in Spagna, ha volontariamente posto fine alla sua vita il 12 gennaio, prima che la malattia la paralizzasse completamente. Il governo viene accusato di non compiere i suoi impegni elettorali riguardo all'eutanasia.
Madeleine aveva reso pubblica la sua decisione da tempo, con l’intenzione di rilanciare nuovamente il dibattito sul suicidio assistito, per stimolare un «cambiamento culturale».
Per questo aveva pensato di «fare una festa» d'addio, ma si era ricreduta: «Non si può spiegarlo a chiunque, la gente non capisce. La morte è mia, mi appartiene».
«Voglio smettere di non vivere, questa non è la vita», aveva detto alla stampa per spiegare la sua decisione.
Per la Spagna si tratta di un nuovo Caso Sampedro.
Ramón Sampedro, tetraplegico da quando aveva 25 anni, si suicidò 55enne nel 1998, dopo una inutile battaglia legale per ottenere assistenza medica e il riconoscimento della sua decisione. La vicenda venne portata sullo schermo nel bel film Mar adentro di Alejandro Amenábar, Oscar 2005 come miglior film straniero, splendidamente interpretato da Javier Bardem.
La vicenda riacutizza una polemica politica tra il governo Zapatero e i partiti che lo appoggiano in Parlamento.
Il programma elettorale del Psoe riportava: «Eutanasia. Promuoveremo una commissione nel Congresso dei deputati che consenta di dibattere il diritto all’eutanasia e alla morte degna, gli aspetti relativi alla sua depenalizzazione e il diritto a ricevere cure palliative». Tre anni dopo la commissione non esiste e Izquierda unida e Esquerra republicana de Catalunia hanno più volte sollecitato il governo a vararla.
Per i socialisti, però, il tema non ha sufficiente appoggio sociale per essere trattato. Malgrado le inchieste di opinione registrino come una maggioranza che varia dal 65 al 75% sia favorevole alla "morte dignitosa" e consideri necessaria una sua regolamentazione.
Zapatero, evidentemente, non intende aprire ora un nuovo fronte con la chiesa spagnola e precludersi l'appoggio dei cattolici nazionalisti catalani di Convergencia i Uniò.
«Sono in una nuvola, ma contenta... Davvero, me ne vado poco per volta. Sto molto bene».
Queste le ultime parole di Madeleine Z., riferite dai volontari della Associazione per il Diritto a una morte dignitosa che le sono stati vicini fino alla fine.
[Foto tratte da El País]
Madeleine aveva reso pubblica la sua decisione da tempo, con l’intenzione di rilanciare nuovamente il dibattito sul suicidio assistito, per stimolare un «cambiamento culturale».
Per questo aveva pensato di «fare una festa» d'addio, ma si era ricreduta: «Non si può spiegarlo a chiunque, la gente non capisce. La morte è mia, mi appartiene».
«Voglio smettere di non vivere, questa non è la vita», aveva detto alla stampa per spiegare la sua decisione.
Per la Spagna si tratta di un nuovo Caso Sampedro.
Ramón Sampedro, tetraplegico da quando aveva 25 anni, si suicidò 55enne nel 1998, dopo una inutile battaglia legale per ottenere assistenza medica e il riconoscimento della sua decisione. La vicenda venne portata sullo schermo nel bel film Mar adentro di Alejandro Amenábar, Oscar 2005 come miglior film straniero, splendidamente interpretato da Javier Bardem.
La vicenda riacutizza una polemica politica tra il governo Zapatero e i partiti che lo appoggiano in Parlamento.
Il programma elettorale del Psoe riportava: «Eutanasia. Promuoveremo una commissione nel Congresso dei deputati che consenta di dibattere il diritto all’eutanasia e alla morte degna, gli aspetti relativi alla sua depenalizzazione e il diritto a ricevere cure palliative». Tre anni dopo la commissione non esiste e Izquierda unida e Esquerra republicana de Catalunia hanno più volte sollecitato il governo a vararla.
Per i socialisti, però, il tema non ha sufficiente appoggio sociale per essere trattato. Malgrado le inchieste di opinione registrino come una maggioranza che varia dal 65 al 75% sia favorevole alla "morte dignitosa" e consideri necessaria una sua regolamentazione.
Zapatero, evidentemente, non intende aprire ora un nuovo fronte con la chiesa spagnola e precludersi l'appoggio dei cattolici nazionalisti catalani di Convergencia i Uniò.
«Sono in una nuvola, ma contenta... Davvero, me ne vado poco per volta. Sto molto bene».
Queste le ultime parole di Madeleine Z., riferite dai volontari della Associazione per il Diritto a una morte dignitosa che le sono stati vicini fino alla fine.
[Foto tratte da El País]
mercoledì 17 gennaio 2007
¿De acuerdo? ¡Nada de nada!
Anche la revisione al rialzo del patto antiterrorismo sfocia in un nulla di fatto, sotto il fuoco incrociato di Pnv e Pp.
Non è andato lontano il rilancio di Zapatero, a seguito della bomba dell'Eta che, assieme alle vite di Diego Armando Estacio e Carlos Antonio Palate e al parcheggio del Terminal 4 dell'aeroporto di Barajas, ha distrutto anche il tentativo di dialogo.
Non c'era del resto da aspettarsi soluzioni diverse: il Pp non aveva nessuna intenzione di cambiare le sue posizioni e accettare un nuovo patto voleva dire abbandonare il vecchio, che rappresentava la sponda istituzionale di un comportamento politico che di istituzionale ha ben poco; né il Psoe aveva fatto nulla per costruire realmente le condizioni per proporre un nuovo patto ai partiti politici spagnoli.
Quello che colpisce, semmai, è che Pnv e Pp non abbiano rinunciato a giocare il loro ruolo da "battitori liberi". In particolare i nazionalisti cattolici baschi, che hanno posto condizioni campate in aria, come la revoca della Ley de partidos, levando dalle spalle del Pp il peso di essere l'unico partito a impedire l'accordo.
Le dinamiche basche hanno percorsi propri. La bomba del T4 fa esplodere le contraddizioni anche in seno a Batasuna, il partito della sinistra indipendentista messo fuori legge dalla Ley del partidos perché ritenuto braccio politico dell'Eta.
Otegi, il leader di Batsuna (ma è ancora così?), non ha condannato l'attentato, cancellando la possibilità di un ritorno alla legalità del partito per le prossime amministrative basche. Il Pnv, che negli utlimi anni ha accentuato il suo indipendentismo anche per pescare voti nel serbatoio della sinistra radicale che non ha più un referente elettorale, vuole continuare su questa strada e quindi propone di abbandonare tout court la Ley, tanto non se ne fa nulla, strizzando l'occhio agli elettori penalizzati dalla legge.
Elettori che si sono espressi nel voto al Partito comunista delle terre basche, formazione che si presenta da anni ma che ha sfondato nelle utlime amministrative proponendosi come espressione dell'elettorato di Batasuna, e della quale, dal canto suo, il Pp ha chiesto la messa fuori legge come condizione per discutere il nuovo patto. Altra richiesta irricevibile.
Malgrado zapatero abbia lanciato il nuovo patto solo come mossa difensiva - buttandolo in faccia al Pp, con mossa tardiva e un po' indispettita, più che facendo una proposta concreta - il problema principale della democrazia spagnola davanti all'Eta risiede proprio nella mancata unità delle forze democratiche davanti al terrorismo e al radicalismo politico indipendentista, come il tentativo di dialogo di Zapatero ha dimostrato.
Senza unità non si dialoga con un gruppo terrorista separatista. Nessun governo è in grado di sostenere una trattativa con il maggiore partito dell'opposizione contro.
Il patto antiterrorismo è effettivamente morto. Perché non adeguato ai tempi. Il testo esclude qualsiasi dialogo con l'Eta, e già questo basta per renderlo inattuale. Ma è superato perché discende da un periodo politico concluso: aveva un senso nel 2000, quando esprimeva il patto tra i partiti "costituzionalisti" (Pp e Psoe), funzionale alla costruzione di un rifiuto di massa del terrorismo nel Paese basco, all'isolamento delle posizioni indipendentiste e alla risposta alla tattica del Pnv, pronto a accelerare sulle sue posizioni indipendentiste per consolidare il suo potere. Ora non l'ha più.
Adesso, per andare avanti, occorrerebbe un nuovo patto tra tutti i partiti che rifiutano la violenza come strumento politico e riconoscono la Costituzione.
Oppure, meglio, nessun patto.
Piuttosto che questo Patto ormai continuamente tradito e inadeguato ai tempi, cui si aggrappa ormai solo il Pp per nobilitare le sue posizioni, meglio che i partiti siano responsabili nel parlamento e nelle urne delle proprie scelte.
Non è andato lontano il rilancio di Zapatero, a seguito della bomba dell'Eta che, assieme alle vite di Diego Armando Estacio e Carlos Antonio Palate e al parcheggio del Terminal 4 dell'aeroporto di Barajas, ha distrutto anche il tentativo di dialogo.
Non c'era del resto da aspettarsi soluzioni diverse: il Pp non aveva nessuna intenzione di cambiare le sue posizioni e accettare un nuovo patto voleva dire abbandonare il vecchio, che rappresentava la sponda istituzionale di un comportamento politico che di istituzionale ha ben poco; né il Psoe aveva fatto nulla per costruire realmente le condizioni per proporre un nuovo patto ai partiti politici spagnoli.
Quello che colpisce, semmai, è che Pnv e Pp non abbiano rinunciato a giocare il loro ruolo da "battitori liberi". In particolare i nazionalisti cattolici baschi, che hanno posto condizioni campate in aria, come la revoca della Ley de partidos, levando dalle spalle del Pp il peso di essere l'unico partito a impedire l'accordo.
Le dinamiche basche hanno percorsi propri. La bomba del T4 fa esplodere le contraddizioni anche in seno a Batasuna, il partito della sinistra indipendentista messo fuori legge dalla Ley del partidos perché ritenuto braccio politico dell'Eta.
Otegi, il leader di Batsuna (ma è ancora così?), non ha condannato l'attentato, cancellando la possibilità di un ritorno alla legalità del partito per le prossime amministrative basche. Il Pnv, che negli utlimi anni ha accentuato il suo indipendentismo anche per pescare voti nel serbatoio della sinistra radicale che non ha più un referente elettorale, vuole continuare su questa strada e quindi propone di abbandonare tout court la Ley, tanto non se ne fa nulla, strizzando l'occhio agli elettori penalizzati dalla legge.
Elettori che si sono espressi nel voto al Partito comunista delle terre basche, formazione che si presenta da anni ma che ha sfondato nelle utlime amministrative proponendosi come espressione dell'elettorato di Batasuna, e della quale, dal canto suo, il Pp ha chiesto la messa fuori legge come condizione per discutere il nuovo patto. Altra richiesta irricevibile.
Malgrado zapatero abbia lanciato il nuovo patto solo come mossa difensiva - buttandolo in faccia al Pp, con mossa tardiva e un po' indispettita, più che facendo una proposta concreta - il problema principale della democrazia spagnola davanti all'Eta risiede proprio nella mancata unità delle forze democratiche davanti al terrorismo e al radicalismo politico indipendentista, come il tentativo di dialogo di Zapatero ha dimostrato.
Senza unità non si dialoga con un gruppo terrorista separatista. Nessun governo è in grado di sostenere una trattativa con il maggiore partito dell'opposizione contro.
Il patto antiterrorismo è effettivamente morto. Perché non adeguato ai tempi. Il testo esclude qualsiasi dialogo con l'Eta, e già questo basta per renderlo inattuale. Ma è superato perché discende da un periodo politico concluso: aveva un senso nel 2000, quando esprimeva il patto tra i partiti "costituzionalisti" (Pp e Psoe), funzionale alla costruzione di un rifiuto di massa del terrorismo nel Paese basco, all'isolamento delle posizioni indipendentiste e alla risposta alla tattica del Pnv, pronto a accelerare sulle sue posizioni indipendentiste per consolidare il suo potere. Ora non l'ha più.
Adesso, per andare avanti, occorrerebbe un nuovo patto tra tutti i partiti che rifiutano la violenza come strumento politico e riconoscono la Costituzione.
Oppure, meglio, nessun patto.
Piuttosto che questo Patto ormai continuamente tradito e inadeguato ai tempi, cui si aggrappa ormai solo il Pp per nobilitare le sue posizioni, meglio che i partiti siano responsabili nel parlamento e nelle urne delle proprie scelte.
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martedì 16 gennaio 2007
Tra Zapatero e Rajoy nessuna distensione
Zapatero ha riferito alle Cortes sulla rottura del cessate il fuoco da parte dell’Eta.
Già di per sé si è trattato di evento irrituale: per la prima volta il presidente del governo viene chiamato a rendere conto davanti al parlamento della sua politica sul terrorismo - il che dà la misura della collaborazione istituzionale tra maggioranza e opposizione. In più, la giornata parlamentare ha sancito la definitiva rottura tra Pp e Psoe.
Nel suo intervento Zapatero ha espresso le condoglianze per le vittime; si è scusato per l’ottimismo manifestato nel discorso del 29 dicembre (stiamo meglio di un anno fa e tra un anno staremo meglio, disse a proposito del Processo di pace e il giorno dopo avvenne l’attentato); ha sottolineato di aver agito rispettando la legge e il mandato espressogli dal parlamento; ha dato all’Eta tutta la responsabilità della rottura del processo di pace; ha proposto un nuovo patto antiterriorismo, allargato a tutti i partiti democratici.
Qualche abilità oratoria, come la ripetizione quasi letterale di alcune frasi prese dal discorso di Aznar in occasione della rottura della tregua del ’98; qualche frecciatina al Pp che non ha dato il suo appoggio.
Non ha però detto gran che su quali basi poggerebbe un nuovo eventuale patto, anche se ha aperto esplicitamente al Pnv.
Dal canto suo Rajoy non ha recesso di un millimetro, anzi.
Nessuna trattativa con l’Eta è possibile; il governo è stato imprudente, frivolo, irresponsabile; quale affidabilità possono avere le proposte che vengono da Zapatero, le sue analisi? Poi ha messo nero su bianco ciò che il Pp aveva solo insinuato finora, ma che ha guidato il partito in questi mesi: «Se non compie quello che chiedono i terroristi, metteranno le bombe; se non ci sono bombe è perché ha ceduto».
Durante le repliche le accuse reciproche si sono fatte anche più dure e alla fine, malgrado l’appoggio di tutti gli altri gruppi alla politica del governo, la frattura resta intatta. Né la disponibilità di Rajoy a partecipare agli incontri nei quali verrà proposto il nuovo patto antiterrorista, inverte la corrente: sulle basi di questo scontro politico nessun accordo è possibile.
Quello che Zapatero non ha detto è che la lezione da trarre è che nessuna trattativa coll'Eta può essere iniziata in mancanza di un accordo tra i due maggiori partiti.
Avrebbe voluto dire delegittimare il percorso portato avanti finora, nella convinzione che il Pp si sarebbe prima o poi aggregato al processo: andare avanti, aspettando il momento.
Con l'Eta come interlocutore, questo non è possibile.
[foto (efe da El Mundo: 1) Mariano Rajoy; 2) J.L. Rodriguez Zapatero; 3) Acebes e Rajoy ascoltano Zapatero; 4) Zapatero ascolta Rajoy]
Già di per sé si è trattato di evento irrituale: per la prima volta il presidente del governo viene chiamato a rendere conto davanti al parlamento della sua politica sul terrorismo - il che dà la misura della collaborazione istituzionale tra maggioranza e opposizione. In più, la giornata parlamentare ha sancito la definitiva rottura tra Pp e Psoe.
Nel suo intervento Zapatero ha espresso le condoglianze per le vittime; si è scusato per l’ottimismo manifestato nel discorso del 29 dicembre (stiamo meglio di un anno fa e tra un anno staremo meglio, disse a proposito del Processo di pace e il giorno dopo avvenne l’attentato); ha sottolineato di aver agito rispettando la legge e il mandato espressogli dal parlamento; ha dato all’Eta tutta la responsabilità della rottura del processo di pace; ha proposto un nuovo patto antiterriorismo, allargato a tutti i partiti democratici.
Qualche abilità oratoria, come la ripetizione quasi letterale di alcune frasi prese dal discorso di Aznar in occasione della rottura della tregua del ’98; qualche frecciatina al Pp che non ha dato il suo appoggio.
Non ha però detto gran che su quali basi poggerebbe un nuovo eventuale patto, anche se ha aperto esplicitamente al Pnv.
Dal canto suo Rajoy non ha recesso di un millimetro, anzi.
Nessuna trattativa con l’Eta è possibile; il governo è stato imprudente, frivolo, irresponsabile; quale affidabilità possono avere le proposte che vengono da Zapatero, le sue analisi? Poi ha messo nero su bianco ciò che il Pp aveva solo insinuato finora, ma che ha guidato il partito in questi mesi: «Se non compie quello che chiedono i terroristi, metteranno le bombe; se non ci sono bombe è perché ha ceduto».
Durante le repliche le accuse reciproche si sono fatte anche più dure e alla fine, malgrado l’appoggio di tutti gli altri gruppi alla politica del governo, la frattura resta intatta. Né la disponibilità di Rajoy a partecipare agli incontri nei quali verrà proposto il nuovo patto antiterrorista, inverte la corrente: sulle basi di questo scontro politico nessun accordo è possibile.
Quello che Zapatero non ha detto è che la lezione da trarre è che nessuna trattativa coll'Eta può essere iniziata in mancanza di un accordo tra i due maggiori partiti.
Avrebbe voluto dire delegittimare il percorso portato avanti finora, nella convinzione che il Pp si sarebbe prima o poi aggregato al processo: andare avanti, aspettando il momento.
Con l'Eta come interlocutore, questo non è possibile.
[foto (efe da El Mundo: 1) Mariano Rajoy; 2) J.L. Rodriguez Zapatero; 3) Acebes e Rajoy ascoltano Zapatero; 4) Zapatero ascolta Rajoy]
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sabato 13 gennaio 2007
La Spagna contro l'Eta
Massiccia partecipazione popolare alle manifestazioni contro l'Eta di Madrid e di Bilbao. Malgrado la defezione del Pp e dell'Avt.
Le prime cronache raccontano di centinaia di migliaia di persone, 80 mila a Bilbao, secondo la polizia, mentre su Madrid ancora non ci sono cifre ufficiali.
Non si sono ascoltati slogan contro il Pp ma molti appoggiavano il governo Zapatero nella politica antiterrorista.
Poche ore prima dell'inizio della manifestazione i promotori, una rete di associazioni di ecuadoriani residenti in Spagna, hanno rivolto un altro appello all'unità dei partiti politici, invitando il Pp ad aderire.
Il segretario popolare Angel Acebes ha accusato la manifestazione di essere «non contro l'Eta, ma contro il Pp».
[foto: 1), 3) Madrid; 2) Bilbao; 4) cittadini ecuadoriani di Madrid]
Le prime cronache raccontano di centinaia di migliaia di persone, 80 mila a Bilbao, secondo la polizia, mentre su Madrid ancora non ci sono cifre ufficiali.
Non si sono ascoltati slogan contro il Pp ma molti appoggiavano il governo Zapatero nella politica antiterrorista.
Poche ore prima dell'inizio della manifestazione i promotori, una rete di associazioni di ecuadoriani residenti in Spagna, hanno rivolto un altro appello all'unità dei partiti politici, invitando il Pp ad aderire.
Il segretario popolare Angel Acebes ha accusato la manifestazione di essere «non contro l'Eta, ma contro il Pp».
[foto: 1), 3) Madrid; 2) Bilbao; 4) cittadini ecuadoriani di Madrid]
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venerdì 12 gennaio 2007
Divisi, contro il terrorismo
La Spagna manifesta a Madrid e Bilbao contro il terrorismo e in solidarietà delle due vittime della bomba di Barajas. Ma divisa.
Domani alle 18 a Madrid si terrà la manifestazione contro il terrorismo dell’Eta.
Una risposta alla rottura del cessate il fuoco compiuta dai terroristi con l’attentato dell’aeroporto di Barajas.
La manifestazione, appoggiata dai sindacati, è stata convocata dalle associazioni ecuadoriane spagnole in memoria delle due vittime della bomba, i cittadini spagnoli di origine ecuadoriana Diego Armando Estacio e Carlos Antonio Palate.
Si conferma la divisione, sempre più profonda, tra i partiti democratici, col Pp che nei primi incontri con le associazioni ha dimostrato la sua disponibilità ad aderire alla manifestazione, per poi scegliere di farsi da parte e di avversarla.
Gli organizzatori (che nel loro manifesto chiedono ai partiti di smetterla con le divisioni davanti al terrorismo) hanno accettato di modificare lo slogan della manifestazione, «Per la pace, contro il terrorismo», aggiungendo «Per la libertà», come richiesto dal Pp. Naturalmente non è bastato e il Pp è giunto a chiedere l'annullamento della convocazione e ha fatto di tutto per boicottarla.
Il comune di Madrid, retto dalla “aznarista” Esperanza Aguirre, ha fomentato la nascita di un’associazione fantasma che ne raggruppa altre cinque, appositamente fondate o finora praticamente inattive, di cittadini ecuadoriani spagnoli che rifiutano la manifestazione. Funzionari del comune hanno poi dato ordine alle sue squadre della nettezza urbana di ripulire i muri dai manifesti della convocazione.
Mentre il Pp attaccava in tutti i modi la manifestazione e i suoi convocatori, dai microfoni de La Cope, l’emittente radiofonica della Conferenza episcopale, il conduttore Federico Jiménez Losantos, portatore delle più estreme posizioni conservatrici del Pp, è giunto a minacciare i circa 327 mila ecuadoriani residenti in Spagna, ricordandogli che in maggioranza risiedono in tre Comunità autonome governate dal Pp. Il ricatto ha ottenuto solo che il dirigente di uno dei cinque gruppi "fantasma" facesse sapere alla stampa che avrebbero partecipato alla manifestazione assieme alla sua famiglia «a titolo personale». L'aspettativa è che la partecipazione della comunità ecuadoriana sia massiccia.
Anche la Avt (Associazione vittime del terrorismo), che rappresenta tremila delle circa 15 mila fra vittime e parenti esistenti in Spagna, ha duramente attaccato la manifestazione, rifiutandosi di aderire. Sono otto invece le altre associazioni di vittime del terrorismo che hanno dato la loro adesione.
Stesse divisioni per la manifestazione di Pamplona, organizzata dal governo basco, alla quale non parteciperanno i popolari né Batasuna. L’aggiunta della frase «Esigiamo dall’Eta la fine della violenza», allo slogan iniziale «Per la pace e il dialogo», ha permesso l’adesione dei socialisti baschi. Sempre più marginalizzata è Batasuna, sotto il fuoco delle critiche per non aver condannato l’attentato di Barajas.
Per la prima volta i popolari si rifiutano di partecipare a manifestazioni unitarie contro il terrorismo dell’Eta, segnando così il punto più basso della divisione tra i partiti democratici rispetto ai terroristi dell’Eta, che ha marcato tutto il tentativo attuale di impostare un processo di dialogo che conduca all’abbandono delle armi e alla fine della violenza da parte dell’Eta.
Un problema, quello dell’attuale linea politica dei vertici popolari, sempre maggiore per la Spagna. Nella quale quella si configura non è più la divisione tra partiti “costituzionalisti” (Pp e Psoe) e “non costituzionalisti” (nazionalisti baschi e catalani) ma quella tra chi rifiuta la violenza e chi non la rifiuta. Un passaggio importante nel contesto della questione territoriale spagnola, dal quale il Pp ha scelto di restare fuori.
[foto: 1) omaggio alle vittime nell'aeroporto; 2) parenti di una delle vittime alla partenza del feretro per l'Ecuador; 3) Zapatero sul luogo dell'attentato; 4) quel che resta del parcheggio del terminal 4]
Domani alle 18 a Madrid si terrà la manifestazione contro il terrorismo dell’Eta.
Una risposta alla rottura del cessate il fuoco compiuta dai terroristi con l’attentato dell’aeroporto di Barajas.
La manifestazione, appoggiata dai sindacati, è stata convocata dalle associazioni ecuadoriane spagnole in memoria delle due vittime della bomba, i cittadini spagnoli di origine ecuadoriana Diego Armando Estacio e Carlos Antonio Palate.
Si conferma la divisione, sempre più profonda, tra i partiti democratici, col Pp che nei primi incontri con le associazioni ha dimostrato la sua disponibilità ad aderire alla manifestazione, per poi scegliere di farsi da parte e di avversarla.
Gli organizzatori (che nel loro manifesto chiedono ai partiti di smetterla con le divisioni davanti al terrorismo) hanno accettato di modificare lo slogan della manifestazione, «Per la pace, contro il terrorismo», aggiungendo «Per la libertà», come richiesto dal Pp. Naturalmente non è bastato e il Pp è giunto a chiedere l'annullamento della convocazione e ha fatto di tutto per boicottarla.
Il comune di Madrid, retto dalla “aznarista” Esperanza Aguirre, ha fomentato la nascita di un’associazione fantasma che ne raggruppa altre cinque, appositamente fondate o finora praticamente inattive, di cittadini ecuadoriani spagnoli che rifiutano la manifestazione. Funzionari del comune hanno poi dato ordine alle sue squadre della nettezza urbana di ripulire i muri dai manifesti della convocazione.
Mentre il Pp attaccava in tutti i modi la manifestazione e i suoi convocatori, dai microfoni de La Cope, l’emittente radiofonica della Conferenza episcopale, il conduttore Federico Jiménez Losantos, portatore delle più estreme posizioni conservatrici del Pp, è giunto a minacciare i circa 327 mila ecuadoriani residenti in Spagna, ricordandogli che in maggioranza risiedono in tre Comunità autonome governate dal Pp. Il ricatto ha ottenuto solo che il dirigente di uno dei cinque gruppi "fantasma" facesse sapere alla stampa che avrebbero partecipato alla manifestazione assieme alla sua famiglia «a titolo personale». L'aspettativa è che la partecipazione della comunità ecuadoriana sia massiccia.
Anche la Avt (Associazione vittime del terrorismo), che rappresenta tremila delle circa 15 mila fra vittime e parenti esistenti in Spagna, ha duramente attaccato la manifestazione, rifiutandosi di aderire. Sono otto invece le altre associazioni di vittime del terrorismo che hanno dato la loro adesione.
Stesse divisioni per la manifestazione di Pamplona, organizzata dal governo basco, alla quale non parteciperanno i popolari né Batasuna. L’aggiunta della frase «Esigiamo dall’Eta la fine della violenza», allo slogan iniziale «Per la pace e il dialogo», ha permesso l’adesione dei socialisti baschi. Sempre più marginalizzata è Batasuna, sotto il fuoco delle critiche per non aver condannato l’attentato di Barajas.
Per la prima volta i popolari si rifiutano di partecipare a manifestazioni unitarie contro il terrorismo dell’Eta, segnando così il punto più basso della divisione tra i partiti democratici rispetto ai terroristi dell’Eta, che ha marcato tutto il tentativo attuale di impostare un processo di dialogo che conduca all’abbandono delle armi e alla fine della violenza da parte dell’Eta.
Un problema, quello dell’attuale linea politica dei vertici popolari, sempre maggiore per la Spagna. Nella quale quella si configura non è più la divisione tra partiti “costituzionalisti” (Pp e Psoe) e “non costituzionalisti” (nazionalisti baschi e catalani) ma quella tra chi rifiuta la violenza e chi non la rifiuta. Un passaggio importante nel contesto della questione territoriale spagnola, dal quale il Pp ha scelto di restare fuori.
[foto: 1) omaggio alle vittime nell'aeroporto; 2) parenti di una delle vittime alla partenza del feretro per l'Ecuador; 3) Zapatero sul luogo dell'attentato; 4) quel che resta del parcheggio del terminal 4]
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venerdì 5 gennaio 2007
Un artista non c'è più
È morto ieri, 4 gennaio, a 90 anni, Carles Fontserè.
Pittore, scenografo, editore e fotografo catalano, Fontserè fu uno dei maestri della cartellonistica repubblicana durante la guerra civile spagnola (1936-39).
Come tutti i conflitti, oltre che di uomini e armi fu anche guerra di comunicazione. Senza televisione furono i giornali, la radio (storiche le trasmissioni di Dolores Ibarruri, la Pasionaria) e i manifesti a fare propaganda e informazione.
Fontserè aveva 20 anni quando le truppe golpiste si sollevarono contro il legittimo governo repubblicano, con l’appoggio della germania nazista e dell’Italia fascista. Fu uno dei fondatori del sindacato dei disegnatori professionisti a Barcelona, combattente nelle Brigate internazionali nella Battaglia dell’Ebro, protagonista di quel gruppo di artisti libertari, socialisti e comunisti che si impegnò nel conflitto per la difesa della Repubblica, con le matite e col fucile.
Un suo interessanissimo articolo in castigliano riguardo a quell’esperienza, analizzata dal punto di vista tecnico e storico, è reperibile sul sito della Sociedad Benéfica de Historiadores Aficionados y Creadores (dal quale sono tratte anche le immagini a corredo di questo post).
Suo il famoso manifesto Libertat!, nel quale un contadino alzava la falce al cielo con sullo sfondo il vessillo anarchico, che divenne un archetipo del genere.
Con la sconfitta della Repubblica, fuggì in Francia, passando dai campi di concentramento in cui venivano ammassati gli esuli spagnoli, poi in Messico, infine negli Usa, fino al suo ritorno in patria con la democrazia.
[immagini: 1) Barcelona PSU-UGT, 140 x 100; 2) Barcelona POUM, 140 x 100; 3) Barcelona FAI, 140 x 100; 4) Barcelona CNT-FAI, 100 x 70; tutti del 1936]
Pittore, scenografo, editore e fotografo catalano, Fontserè fu uno dei maestri della cartellonistica repubblicana durante la guerra civile spagnola (1936-39).
Come tutti i conflitti, oltre che di uomini e armi fu anche guerra di comunicazione. Senza televisione furono i giornali, la radio (storiche le trasmissioni di Dolores Ibarruri, la Pasionaria) e i manifesti a fare propaganda e informazione.
Fontserè aveva 20 anni quando le truppe golpiste si sollevarono contro il legittimo governo repubblicano, con l’appoggio della germania nazista e dell’Italia fascista. Fu uno dei fondatori del sindacato dei disegnatori professionisti a Barcelona, combattente nelle Brigate internazionali nella Battaglia dell’Ebro, protagonista di quel gruppo di artisti libertari, socialisti e comunisti che si impegnò nel conflitto per la difesa della Repubblica, con le matite e col fucile.
Un suo interessanissimo articolo in castigliano riguardo a quell’esperienza, analizzata dal punto di vista tecnico e storico, è reperibile sul sito della Sociedad Benéfica de Historiadores Aficionados y Creadores (dal quale sono tratte anche le immagini a corredo di questo post).
Suo il famoso manifesto Libertat!, nel quale un contadino alzava la falce al cielo con sullo sfondo il vessillo anarchico, che divenne un archetipo del genere.
Con la sconfitta della Repubblica, fuggì in Francia, passando dai campi di concentramento in cui venivano ammassati gli esuli spagnoli, poi in Messico, infine negli Usa, fino al suo ritorno in patria con la democrazia.
[immagini: 1) Barcelona PSU-UGT, 140 x 100; 2) Barcelona POUM, 140 x 100; 3) Barcelona FAI, 140 x 100; 4) Barcelona CNT-FAI, 100 x 70; tutti del 1936]
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